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Entriamo nel terzo millennio della storia dell’umanità con nuovi sogni e nuove speranze. Ci lasciamo alle spalle il 900, costellato da guerre terribili,  stermini,  regimi dispotici.

Noi che viviamo in Sicilia, un’isola che è stata il centro delle grandi civiltà del Mediterraneo che sono alla base delle civiltà occidentali, ci lasciamo alle spalle il 900 con un carico di gloria letteraria che non ha pari.

L’Italia, alla quale questa scarpa di un grande stivale sembra andare stretta, sarebbe stata ben poca cosa, nel mondo della letteratura e non solo, senza questa scarpa.

Quanto di grande è stato prodotto in Italia ed in Europa è nato qui e non a caso due premi Nobel per la letteratura del novecento sono stati attribuiti a due siciliani che sono stati la metafora del mondo.

Con il nuovo millennio pensavamo di entrare in altre dimensioni e di lasciarci alle spalle questa amara terra per assumere altri connotati, ma il tempo e la cultura non hanno cesure. Il conto degli anni o dei secoli o dei millenni è un fatto convenzionale perché poi in definitiva i giorni scorrono uno dietro l’altro e sempre alla stessa maniera, e allora la Sicilia, metafora del mondo, affiora sempre per ricordarci chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo.

Verga, Pirandello, Sciascia, Bufalino, Consolo, Brancati, Russello, Camilleri, Quasimodo, Bellini e tutta una lunga schiera di grandi intellettuali sono sempre davanti a noi e non ci abbandonano; anzi, ci condizionano; di loro, nel bene e nel male, non ci possiamo liberare. E purtroppo non possiamo liberarci di un fenomeno atavico – la mafia – che è il cancro più grave di quest’isola così bella e così ricca di storia e di cultura.

La Sicilia ancora al centro del Mediterraneo, al centro del pensiero dei nostri intellettuali che, pur emigrati di lungo corso, vi ritornano continuamente con i loro scritti per ricordarci la nostra insularità, la difficoltà di essere siciliani, la linea della palma che avanza e conquista l’Italia tutta e anche il mondo, sia nel bene che nel male.

E il primo a ricordarcelo è Matteo Collura che dopo avere pubblicato “Il maestro di Regalpetra”, “Alfabeto eretico”, pubblica all’inizio del 2004  In Sicilia, un libro scritto a mano, scritto con i pennelli o con la macchina fotografica, da cui emerge in maniera preminente la Sicilia degli intellettuali e perfino di una nobiltà che si estingue dolcemente nel grande mare della cultura alta, come dimostrano Lucio Piccolo o Tomasi di Lampedusa.

Matteo Collura viene seguito a ruota, alla fine del 2004, da Giovanna Giordano con il suo romanzo “Il mistero di Lithian che, in buona parte, è un viaggio mitico nella mitica Sicilia della Magna Graecia, una terra misteriosa e affascinante che ha incantato Ulisse, Enea e tanti altri viaggiatori che in essa trovarono motivi di ispirazione, una Sicilia capovolta dove “chi ama uccide e chi parla muore”.

Un libro quello della Giordano in cui, come dice la Pivano, “è protagonista il paesaggio: il mare, il cielo, gli animali, i vulcani, elementi quasi scomparsi dalla narrativa contemporanea e felicemente presenti nella giovane e inesauribile fantasia di Giovanna Giordano”.

E non finisce qui perché all’inizio del 2005 un altro scrittore siciliano, Gaetano Savatteri, si presenta nelle librerie con lo splendido libro “I Siciliani”. I siciliani si presentano all’inizio del nuovo millennio in maniera ossessiva, quasi abbiano paura di uscire di scena dopo duemila e più anni di storia…  però questi siciliani che descrive Savatteri ci fanno paura e ci fanno ricordare una Sicilia rimasta drammaticamente sugli altari della cronaca per fatti innominabili.

Ci sono, e non potrebbero mancare, i ricordi dei grandi personaggi, ma ci sono soprattutto i “tragidiatori”.

C’è Pisciotta che combina “la tragedia” a Salvatore Giuliano, il quale a sua volta combina “la tragedia” ai lavoratori che celebravano il primo maggio a Portella della Ginestra; c’è il ragionier Sucato che combina “la tragedia” a centinaia di palermitani a cui ruba parecchi miliardi con la promessa di interessi favolosi; ci sono i monaci di Mazzarino che combinano “tragedie” cercando di estorcere danaro ai loro concittadini; c’è la tragedia di Mauro De Mauro e la menzogna dell’Abate Vella.

Un libro di cose risapute, ci ha detto lo stesso Gaetano Savatteri quando gli abbiamo proposto di presentare la sua opera ad Agrigento, facendo scemare il nostro interesse verso il libro. Un libro come tanti altri che parlano della Sicilia – pensavamo – e  quindi lo abbiamo comprato e messo sul comodino, rimandandone la lettura al momento in cui avremmo dovuto farlo necessariamente per presentarlo in qualche  manifestazione pubblica.

Ma dobbiamo ammettere che la modestia di Gaetano Savatteri ci ha ingannato perché il suo non è un libro come tanti di cose risapute, ma è un libro graffiante e spietato, che ci riporta alla mente una Sicilia che esiste ma che troppo spesso tentiamo di “rimuovere”. Perché? Per carità di patria o per non offendere la suscettibilità dei tanti potenti collusi con la mafia?

Il libro di Gaetano Savatteri è molto coraggioso perché non risparmia nessuno, a costo di pagare di persona.

Savattteri, non so se ingenuamente o pirchi “spertu”, ci ricorda un cartello che il ragionier Sucato mise dietro la sua porta la mattina dell’otto settembre 1990: “Il dott. Giovanni Sucato è stato convocato da Berlusconi, perciò rientrerà la prossima settimana”.

E il nome del cavaliere Berlusconi riecheggia ancora una volta nel libro allorché il Governo del Cavaliere  licenzia Tano Grasso dal Commissariato antiraket del Viminale causando un allentamento nella lotta contro l’estorsione e l’usura che in Sicilia rappresentano la base su cui vive la mafia.

“Li tragedi” coinvolgono anche le donne di Gaetano Savatteri che sono donne in gramaglie, donne che vivono il dramma della mafia ma sono soprattutto donne di “tenace concetto” migliori degli uomini e più determinate. Se la Sicilia fosse nelle loro mani, forse sarebbe migliore.

La donna che più ci ha affascinati è Maria Testadilana della quale non ci interessa tanto la sua vera storia, ma piuttosto la sua immagine simbolica, come ce la siamo costruita noi con la nostra fantasia : figlia della disperazione e dei soprusi, di secoli di miseria e di schiavitù ha la possibilità di ribellarsi e di vendicarsi; e lei lo fa a suo modo, uccidendo e tagliando teste come in tutte le rivoluzioni del mondo. Ma Maria Testadilana non può rialzare la testa e anche con il nuovo regime, che lei stessa ha contribuito a far vincere, sarà una perdente: ignorante e vendicativa,   il suo destino sarà il carcere,  assieme ai suoi figli.

Noi, grazie a Gaetano Savatteri, abbiamo conosciuto questa donna meravigliosa e ce ne siamo innamorati. Ci batteremo per ricordarla assieme a Francesca Serio, la mamma eroica di Salvatore Carnevale (che noi abbiamo conosciuto personalmente e che abbiamo apprezzato per il coraggio dimostrato contro la mafia dei feudi e delle baronie morenti) ucciso dalla mafia agraria e baronale, e assieme a Felicia Bartolotta, la mamma di Peppino Impastato, barbaramente assassinato dalla mafia di don Tano Badalamenti; una donna, Felicia, che si è dibattuta tra la mafiosità del marito ed il coraggio eroico del figlio, scegliendo la posizione contro la mafia del figlio, che diventa il simbolo della gioventù libera e democratica.

Ci turba la storia di Vincenzina Marchese, moglie del mafioso Bagarella, che scompare nel nulla perché sorella di un pentito; e la storia si ripete con il pentimento di Giusy Vitale, per questo ripudiata pubblicamente dal fratello e dalla mamma.

Altre donne ci fa conoscere Savatteri, donne fuori dalla mafia ma sempre vissute nel dramma di una “tragedia” personale. Come donna Franca Florio, una nobile che sposa un borghese, uno dei più ricchi e potenti d’Italia che conoscerà la grande nobiltà europea e che assisterà al tramonto del suo impero; come  Antonietta Portulano, che sposa il grande Pirandello ma cade nel dramma della follia.

La follia ci porta a Pietro Pisani, che fonda a Palermo la Real casa dei matti, e ad Agrigento, dove, con una donazione, viene costruito uno dei più terribili manicomi del mondo che si erge in uno dei posti più belli del mondo.

“Non tutti lo sono, non tutti ci sono”, questa scritta che campeggia all’ingresso del manicomio di Agrigento è emblematica e inquietante.

Il libro di Savatteri è una miniera, come le tante miniere di sale e di zolfo che in Sicilia si trovano.

Si scava e si trova sempre materiale prezioso, anche a costo di morire; si scopre il dramma di questa terra assolutamente “irredimibile” che ha “perso l’appuntamento con il Rinascimento e la Riforma” e ha subito invece l’influsso controriformista che accentuò quel torpore intellettuale e il  distacco fra cultura e mondo pratico che già caratterizzavano la vita siciliana. E così la teoria delle idee che cambiano il mondo passerà al largo della Sicilia anche dopo la Rivoluzione Francese, anche dopo la stagione napoleonica; solo con il Risorgimento la Sicilia entra a pieno titolo nella corrente delle grandi idee europee, ma con ritardi di rappresentanza politica, perché a cavalcare il moto unitario saranno proprio quei Falconieri e quegli Uzeda che incarnavano il vecchio ceto dirigente.

Cambiare tutto per non cambiare nulla, e così il Risorgimento si trasformerà in una occupazione “manu militari” da parte del Piemonte, che venne ad imporre le sue leggi e a distruggere quel minimo di economia che i Borboni stavano cercando di mettere a punto.

Bisognerà attendere le lotte socialiste per avere in Sicilia una rivolta autenticamente moderna ed antimafiosa; ma l’autonomia siciliana, finalmente conquistata, divenne anch’essa elemento di corruzione e di degrado, luogo del potere spagnoleggiante e covo degli interessi mafiosi: non seppe essere, come avrebbe dovuto, lo strumento del riscatto della popolazione siciliana; e la Sicilia non  diventò  “una regione come le altre”, come scrisse Antonio Russello nel suo libro La grande sete”.

Gesù Cristo venne alla rupe Atenea per dissetare gli agrigentini a condizione che essi applicassero il quinto comandamento “non uccidere” e che tra essi si trovasse qualcuno disposto a denunziare ai giudici le malefatte  e le ingiustizie.  Ma gli agrigentini (dice ancora Russello) non accettano il quinto comandamento e dunque resteranno avvolti dalla grande sete di acqua, di giustizia, di cultura, di amore.

Questa Sicilia amara viene fuori dal drammatico e bellissimo libro di Gaetano Savatteri, una Sicilia alla quale diciamo con Sciascia: “Né con te, né senza di te possiamo vivere”.

E ancora, con il suo compaesano Leonardo da Racalmuto, Savatteri ci dice: “Ho tentato di raccontare qualcosa della vita di una paese che amo e spero di aver dato il senso di quanto lontana sia questa vita dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione”

Agrigento, 9.4.2004

Gaspare Agnello
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