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Lo scrittore siciliano Melo Freni, con un lungo passato di giornalista, ci ha regalato un gioiello letterario di grande pregio che si è conquistato un posto speciale nel nostro cuore di amanti della buona letteratura e dei buoni sentimenti.

“Severino e il Cardinale”, pubblicato dalla casa editrice Sciascia e dalla “Rai-Eri” nell’anno 2006, ci racconta una storia di successi, di insuccessi, di tradimenti, ma soprattutto di nostalgia, di una vita semplice e dei buoni sapori della fanciullezza.

Mariano Rampollla del Tindaro è un ragazzo che vive la sua fanciullezza nel suo paese di nascita Polizzi Generosa e lui, figlio del Conte Gaetano, passa le sue giornate con Severino Petralia figlio di uno dei suoi contadini.

I due bambini scorazzano per il paese, per le campagne andando in cerca di nidi e assaporando la gioia di una vita vera e cementando un amicizia eterna come lo sono tutte le amicizie dell’infanzia che nessuno può mai cancellare.

Ma Don Gaetano, avendo capito le capacità intellettuali del figlio, a tredici anni, lo manda a Roma a studiare nei migliori seminarti di cui la Chiesa disponeva, da dove non fece più ritorno a Polizzi neanche per un giorno di riposo.

La “spartenza” tra i due ragazzi è veramente dolorosa e Saverino regala a Mariano un nido vuoto perché lo tenga con sé a ricordo della sua fanciullezza.

Mariano diventa il cardinale Rampolla del Tindaro, potente Segretario di Stato di Leone XIII che si deve barcamenare in un situazioni politica europea molto difficile e pronta ad esplodere da un momento all’altro come poi è avvenuto nel 1914. Deve subire una situazione italiana Post-unitaria molto difficile con gravi incomprensioni tra Stato Vaticano e Stato Italiano. Viene inaugurato in Campo dei Fiori il monumento a Giordano Bruno come un segnale contro lo Stato Vaticano, Crispi destituisce il Sindaco di Roma Don Leopoldo Torlonia per gli auguri che aveva espresso al Papa a nome della città in occasione dei suoi cinquanta anni di sacerdozio.

E tutto questo gli procura tanti amici e tantissimi nemici.

Severino intanto arriva a Roma a fare il cuoco e poi apre una sua osteria “Hostaria da Severino a San Pietro”.

I due si incontrano casualmente e rinasce la vecchia amicizia sull’onda di una profonda nostalgia: “Mai rimpatriata poteva essere così dolce e struggente, nell’intreccio ambiguo della nostalgia, che era proprio la malattia del ritornare non solo a quei sapori lontani ma anche agli scenari da essi revocati”

Rinasce il desiderio della “insalata di zucche secche e baccalà, farcita di cardi, carciofi, olive e patate che curiosamente chiamavano “cunigghiu” senza che ci fosse nulla del coniglio.”

Negli incontri tra i due amici vengono fuori discorsi più grandi di Severino che lui non può capire. Capisce solo che in Vaticano ci sono tante serpi e che nel Conclave si ritirano anche alcuni “cornutacci” che riescono pure a raggirare lo spirito santo.

Il Cardinale Rampolla era il legittimo successore di Leone XIII e tutto faceva capire che sarebbe stato eletto Papa. Ma le cose non andarono così. Nel 1903, alla morte di Leone XIII, Francesco Giuseppe, Imperatore D’Austria, fa valere, tramite il cardinale di Cracovia Puzyna, lo “Jus exclusive” ed impedisce la elezione di Rampolla. Viene eletto Papa Sarto “Pio X”.

E Severino, che vive con ansia questi giorni di conclave perché teme per il suo amico cardinale, pensa allo Spirito Santo: “Cosa ha combinato lo Spiritossanto? O vuoi vedere che quei cornuti hanno preso per il culo pure lui?”.

Il Cardinale Rampollla non poteva che accettare le decisioni dello Spiritossanto, fu nominato arciprete della Basilica di San Pietro e visse la sua vita appartata tra studio e preghiera con qualche puntata nella Osteria di Saverino a cui confida:

“Me ne ritornerei al paese, Severino, a fare lunghe passeggiate fra gli abeti della montagna, fra i nostri astralaghi, il lino delle fate, e scoprire le impronte delle volpi, degli istrici, riascoltare il verso della poiane, dei barbagianni, salire piano piano verso le serre della Quacella, scendere al borgo di Castellana, riposarmi all’ombra del castello di Donna Laura. Ricordi Saverino? Donna Laura! Pensa come alle due donne della nostra storia, Adelasia e Laura, è legata una memoria di dolore!”..

“… Non c’è più niente, Severino, niente…Ti voglio dire una cosa: non abbiamo mai parlato del nido di passeri, quello che mi regalasti il giorno della mia partenza. Ricordi? Tu non ci crederai, ma è ancora lì, vi accuccio dentro le mie ansie, i miei dispiaceri, quando ne sento il bisogno. E mi fa tanto bene.”

Ogni uomo può scalare le vette più alte della vita ma alla fine si ritroverà sempre prigioniero del nido della sua infanzia e della sua fanciullezza.

Grazie Melo Freni per averci regalato questo documento di grande umanità che noi non dimenticheremo mai perché in questo libro c’è il ricordo della nostra mamma, della nostra infanzia, della nostra strada, del nostro paese e l’amarezza di una vita dura e aspra.

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Agrigento,lì 2.8.2009

gaspareagnello@virgilio.it