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La XL edizione del Premio letterario Brancati – Zafferana Etnea per la narrativa è stata, per quest’anno 2009, appannaggio dello scrittore Paolo Di Stefano con il suo romanzo “Nel Cuore che ti cerca” edito dalla casa editrice Rizzoli e noi diciamo subito che mai premio letterario è stato così meritato.

 

Il libro, che è di 296 pagine si legge tutto d’un fiato non perché è un triller ma perché è uno spaccato della nostra società in cui non si sa dove sta la verità e dove giudicare diventa difficile perché ognuno di noi ha la sua ragione che, dal suo punto dio vista, è vera.

Quando ho avuto il libro tra le mani non volevo leggerlo perché non sono interessato ai triller e men che meno a problemi che riguardano sequestri di persona, stupri, violenze sessuali o cose del genere perché li ritengo fatti che appartengono alla “patologia” e che quindi, come tali, non meritano alcuna considerazione, se non quella psichiatrica.

Invece il romanzo di Paolo Di Stefano suscita problematiche impensabili che appartengono al nostro vissuto.

C’è una coppia come tante ce ne sono nel mondo, che vivono la quotidianità; nasce una bambina Rita, il rapporto di coppia si incrina, si arriva alla separazione e Barbara, la moglie del Dottor Toni Scaglione si dà alla bella vita. Frequenta personaggi strani, fa vita mondana e posteggia la figlia o con la televisione o nei vicini di casa. Rita, come tutte le bambine di coppie separate, vive in silenzio il suo dramma di “pacco” che si sposta dalla madre al padre e viceversa.

Ma una mattina mentre va a Scuola Rita viene rapita e scompare nel nulla.

Barbara ricostruirà la sua vita con un altro uomo, i nonni paterni della bambina di dieci anni muoiono nella certezza che Rita ritornerà viva mentre il giornalista Scaglione vivrà nove anni di drammi terribili alla ricerca della sua Rita Lucia.

Rita cade nelle mani di Sergio, un ragioniere tranquillo, che la segrega in uno scantinato e ne fa la ragione della sua vita. La ama veramente di un amore grande ed immenso e la chiama Stellina, la accontenta in tutto e per tutto e Rita si adatta alla nuova vita che vive accompagnata dalla televisione.

Segue i quiz, che sono il mezzo unico della sua formazione, e altre trasmissioni dedicate ai giovani nelle quali lei si immedesima.

Sogna la televisione, e la sua ambizione è quella di apparire in TV, di parlare a milioni di persone, di diventare diva del piccolo schermo.

Ad un certo punto il libro ci fa venire il dubbio che non si è in presenza di un sequestro di una bambina di dieci anni ma di un salvataggio. Del resto Rita era un oggetto che andava dalla madre al padre, era un pacco da posteggiare, magari per ore e ore davanti al video.

Il padre infatti dice: “Pensavo alla colpa: eravamo colpevoli o innocenti, per aver perso la nostra bambina?”.

Sergio forse l’ha liberata da una situazione incresciosa e l’ha resa protagonista e oggetto principale dell’amore e dell’attenzione di un uomo che vive solo per Lei.

Rita era già sequestrata dalla televisione, come milioni di bambini e quindi il suo mondo cambia di poco.

“La televisione. Era il mio mondo bellissimo, l’unico mondo che esisteva davvero fuori della stanza. E anche dentro, anzi soprattutto dentro”.

I nostri bambini oggi vivono il dramma degli incatenati della “Caverna” di Platone per i quali l’unica verità era costituita dalle immagini che un fuoco posto alle loro spalle proiettava nel muro di fronte a loro.

(E’ la prima forma di cinema, direbbe il filosofo Maurizio Iacono).

L’unico sogno di Rita “ era di fuggire per correre in televisione. E stare lì ore e ore, ben truccata e perfettamente pettinata….davanti a una telecamera per raccontare. Tutto o quasi tutto, con il sorriso sulle labbra…Perché alla fine non è successo niente di speciale. Può succedere anche di peggio, sicuramente. Anche in televisione c’è di peggio, guerre, torture, fame, dolore, rapimenti, decapitazioni…

…E insomma per me se la mia vicenda aveva un senso era quello di poterla raccontare in televisione. Davanti a migliaia, anzi milioni di persone che stavano ad ascoltarmi con interesse”.

Rita è fuori dal mondo schifoso in cui avvengono guerre terribili e senza senso, in cui aerei si schiantano contro le torri provocando migliaia di morti, dove si distrugge l’ambiente con l’inquinamento.

Vive la vita dell’Emilio di Rousseau che per evitare la contaminazione del mondo esterno viene portato a vivere nella foresta ( Mi sovviene il piccolo capolavoro di Antonio Russello “Giangiacomo e Giambattista” ripubblicato da Santi Quaranta col titolo “L’isola innocente”. Anche se alla fine ha ragione Vico che vuole che i figli si educhino in mezzo alla strada che è una grande università).

Sergio tratta Rita con delicatezza. Tanta delicatezza. Le procura tutto quello che vuole. “Per lui ero la più bella, dice Rita, Aveva fatto tutto per me”. “Forse rapendomi ha pensato di liberarmi da mia madre…

…Ed eravamo contenti di esserci ritrovati insieme. Sani e salvi. E di esserci salvati dalla follia e dalla cattiveria. Degli altri”. “ O siamo tutti e due pazzi? O i pazzi sono fuori dalla stanza”.

Rita sente che il suo carceriere in fondo è un debole, un uomo buono e che lui sia la sua vittima: “La debolezza del suo amore per me. Vero amore. Lo sentivo che era vero amore…”

“…Non era lui il mio carceriere. Ero io. Il mio carceriere e anche il suo,ovvio”.

A questo punto qualcuno può dire che non siamo di fronte a un sequestro vero e proprio. Per i genitori e i nonni di Rita certamente si tratta di un sequestro , per Sergio si tratta di un atto di amore. Noi non possiamo giudicare. Neanche la giustizia umana giudicherà il fatto. Così è se vi pare direbbe Pirandello.

Questa situazione psicologica che l’autore descrive con grande maestria ci porta a riflettere sulla educazione dei nostri figli, sulla famiglia, sul ruolo formativo dei cosiddetti mass media e sulle relazioni che le situazioni riescono a creare. E poi il mostro è vero mostro? Cosa c’è dietro una azione che la società giustamente giudica negativamente?  Ci sono validi motivi che possono giustificare una azione anche la più turpe?

A Gubbio c’era un lupo che mangiava donne e bambini e faceva razzie di tutto nelle notti buie. Fu chiamato Francesco per calmare le voglie malevole del lupo. E alla fine Francesco si accorse che il lupo aveva le sue buone ragioni.

Con ciò non vogliamo affatto giustificare un drammatico e terribile rapimento ma Sergio, dalla sua parte, ha le sue ragioni, la sua logica stringente e non si sente un uomo cattivo. E’ un uomo che ama, che ha bisogno di amare e lo fa a suo modo.

Fuori dalla stanza in cui è chiusa Rita, il mondo segue il suo corso e il padre vive un dramma lungo nove anni, quanto è durata la prigionia delle figlia.

E il dialogo di Rita e del padre si incrociano come in un contraccanto e si legano come in una grande sinfonia mozartiana.

I monologhi o i dialoghi si amalgamano uno all’altro, nei pensieri, nei fatti e nelle parole.

Rita alla fine sarà libera e lo scrittore sostiene che la ragazza si libera perchè in lei, in una gita a Siracusa, dinanzi al corpo di Santa Lucia, si è acceso l’odio contro il suo carceriere, noi invece sosteniamo che Rita viene liberata dall’amore che in lei e in un giovane cassiere di un supermercato, è scoccato, come una scintilla, in un attimo.
La mancanza di amore “sequestra”, l’amore “libera” gli uomini.

La scrittura usata da Di Stefano è scorrevolissima e troviamo l’uso del punto che unisce invece di dividere e poi lo “sleng” dei vari personaggi è veramente bellissimo. C’è la parlata degli immigrati rumeni, di Rosita Castilla colombiana, del Morto-di-sonno, quella del cassiere, di siracusano Totuccio.

Tutto questo ci conduce alla parlata degli italo-americani de “La congiura dei loquaci” di Savatteri.

E solo per qualche riferimento il libro ci riporta a “Cuore di madre” del giornalista-scrittore Roberto Alaimo anche se la struttura dei due libri è assolutamente diversa con alcuni elementi comuni.

Comunque dobbiamo dire che Paolo Di Stefano con il suo libro “nel cuore che ti cerca” ci ha regalato un’opera letteraria di grande spessore sia sotto il profilo sociologico sia sotto il profilo letterario.

Il triller è strumento occasionale per parlare di problemi reali della nostra società, ma è anche un modo per tenere legato il lettore al libro, perché scatta la curiosità di vedere come va a finire la storia.

E in questo senso Di Stefano si dimostra un grande maestro, un grande artigiano che lavora ad incastro, come i falegnami di un tempo. Non a caso il figlio del Cristo era un artigiano.

Il modo di raccontare la storia è veramente eccezionale e ci fa conoscere uno scrittore che ha mestiere.

A nostro avviso Di Stefano ha tutte le caratteristiche per diventare uno scrittore di grande successo internazionale.

Agrigento,lì 23.9.2009    Se vuoi puoi acquistare  il Libro su IBS

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