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Il paese delle prugne verdi è un libro allucinante, inquietante, difficile, che si deve leggere e quindi rileggere per capirne qualche cosa di più, un libro che turba e impaurisce e che toglie i sogni, una scrittura diversa, insolita, tutta metaforica, con spicchi di grande poesia, un libro che certamente non tutti avranno il coraggio di leggere o che da i più sarà lasciato a metà.

E allora vogliamo spiegare come siamo arrivati alla lettura del capolavoro della Muller e perché ci siamo arrovellati per più di un mese con una lettura accurata, minuziosa, piena di sottolineature e di riflessioni amare.

Intanto dobbiamo dire che siamo stati spinti a questa lettura per il fatto che la sua autrice, prima poco conosciuta e pubblicata in Italia da una piccola casa editrice, ha ricevuto il Nobel per la letteratura per l’anno 2009. I critici letterari giudicano “Il paese delle prugne verdi” come il libro più importante della Muller.

E infine la cosa che più ci ha spinto ad andare avanti nella lettura o meglio nello studio del libro è un fatto che ci è accaduto alcuni decenni addietro. Eravamo a una festa nella città di Agrigento e ci siamo trovati seduti accanto a una signora romena che aveva sposato un agrigentino; ci è venuto di chiederle della Romania e di Ceausescu e la signora ci ha detto che in Romania una donna o un uomo sposati devono avere paura di fare sogni a voce alta perché nel sonno si possono dire cose di politicamente censurabile. Ed in tal caso si rischia di essere denunciati dal compagno o dalla compagna che hanno accanto perché il partner, a tua insaputa, può essere un uomo della Stasi il quale o la quale non si farebbe scrupolo di denunciarti.

Questo ci ha letteralmente sconvolti. Allora ci sembrò un’iperbole per cui abbiamo voluto confrontare quanto dettoci dalla signora romena con quello che la scritto la Muller. Le sensazioni ricevute dalla lettura sono state sconvolgenti.

Quando si vive in un clima di terrore allora l’unica speranza sono “ una cintura, una finestra, una noce e una fune”: una cintura per affogarsi, una finestra per lanciarsi nel vuoto, una fune per impiccarsi, una noce tumorale per morire ed “ogni morte è come un sacco”. La cintura, la finestra, la noce, la fune sono il filo conduttore del libro della Muller che, all’inizio, è ambientato in uno studentato dove si trovano Lola, Edgar, Kurt, Georg, Teresa e l’Io narrante che ci parla e ci racconta tutta la storia.

E’ una generazione di giovani studenti votata al naufragio, al fallimento, oppressa da un dittatore che “è un errore”, che fa “cimiteri” e che riduce tutti ad essere “qualcuno”, un impersonale che si ripete ossessivamente nel libro: una anàfora portata al parossismo come parossistica e allucinante è la vita dei giovani studenti spiati da qualcuno e dove tutti diventano “qualcuno” .

I giovani vivono in grandi camerate, con la valigia sotto il letto. Sulla valigia ogni mattina mettono un capello e la sera non lo trovano perché, evidentemente, la valigia è stata ispezionata da “qualcuno” ogni giorno, come vengono ispezionate da “qualcuno” tutte le lettere dove si mette un capello che non si trova all’arrivo della lettera. Tutto è controllato, anche i sogni. La prima a cadere è Lola che viene dal sud del paese con addosso un ambiente rimasto povero: “sul volto di Lola vedevo impresso l’ambiente rimasto povero”. Le stanze, gli armadi erano pieni di pulci. Pregando, tutti dovevano grattarsi, scrive Lola nel suo quaderno. Andava in Chiesa ogni domenica mattina. Anche il parroco deve grattarsi. Padre nostro che sei in cielo, scrive Lola, in tutta la città ci sono pulci.

Lola si iscrive al Partito. Qualcuno disse, Tu però vai in chiesa. E Lola disse, lo fanno anche gli altri. Basta non svelare che si conosce l’altro. Qualcuna disse, Dio ti assiste da là sopra e il Partito ti assiste quaggiù. Lola, che subisce anche le violenze dei turnisti, si suicida con la cintura dell’amica. Qualcuno lesse a voce alta: “Questa studentessa si è suicidata. Noi aborriamo il suo gesto e per questo la disprezziamo. E’ una vergogna per tutto il paese. Due giorni dopo l’impiccagione Lola viene espulsa dal partito con voto unanime. Anche da morti si continua ed essere perseguitati e tutti gli iscritti al Partito devono alzare alta la mano per far capire che sono favorevoli all’espulsione di una donna morta, altrimenti saranno vittime del terrore.

L’unica condizione felice è quella della nonna che canta, la quale ha perso la memoria. Non conosce più nessuno in casa. Conosce soltanto le sue canzoni. “Una sera va dall’angolo della stanza al tavolo e dice al chiarore della luce: Sono così contenta, che tutti voi siete con me in cielo. Non sa d’essere in vita e deve cantare se stessa fino alla morte…”

Edgar, Kurt e Georg vogliono salvare il quaderno di Lola e pensano di nasconderlo nella casa estiva, dentro il pozzo. Nella casa estiva ci sono nascosti i libri. I libri facevano la differenza negli uomini. “Nei libri si leggeva che queste porte non erano un nascondiglio. Ciò che potevamo appoggiare, aprire, o chiudere era solo la fronte. Dietro di essa c’eravamo noi stessi con le madri…” Nessuno conosceva i libri della casa estiva, ma tutti ci volevano andare. “Nel posto da dove provenivano i libri c’erano Jeans e arance, un morbido gioco per bambini e televisori portatili per padri e calzamaglie sottilissime e autentici mascara per madri”. “Tutti vivevano di pensieri di fuga. Volevano attraversare a nuoto il Danubio, finché l’acqua non diventava straniera. Rincorrere il mais, finché il suolo non diventava straniero”. “Solo il dittatore e le sue guardie non volevano fuggire”. Le guardie “ sapevano di controllare ogni distretto in cui c’erano alberi di prugne. Facevano giri anche più lunghi per passare accanto agli alberi di prugne. I rami cascavano in basso. Le guardie si riempivano le tasche di prugne verdi. Raccoglievano velocemente, si riempivano un sacchetto nelle giacche. Volevano raccogliere una volta sola e mangiare a lungo. Quando le tasche delle giacche erano piene, si allontanavano velocemente dagli alberi. Perché mangiaprugne era un insulto. Si chiamavano così gli arrivisti, i rinnegatori di se stessi, i leccapiedi privi di scrupoli usciti dal nulla, le persone che camminavano sopra i cadaveri. Anche il Dittatore si chiamava mangiaprugne”

“…I mangiaprugne erano contadini. Impazzivano per le prugne verdi. Se le mangiavano lontani dal loro servizio. Regredivano all’infanzia, rubando prugne sotto gli alberi del paese. Non mangiavano per fame, ne erano avidi per il sapore aspro della povertà davanti alla quale appena un anno prima abbassavano gli occhi e chinavano il capo come davanti alla mano del padre”.

Il terrore prende tutto e tutti: il capitano Pjele, con il suo fidato cane, controlla tutto e tutti, interroga continuamente per entrare fino al cervello degli uomini:

“Poiché avevamo paura, Edgar, Kurt, Georg e io stavamo insieme ogni giorno. Stavamo seduti al tavolo, ma la paura rimaneva isolata in ogni testa, così come ce la portavamo dietro quando c’ incontravamo. Ridevamo molto, per nasconderla gli uni agli altri. Perché la paura svicola…Gira libera, la si vede negli oggetti, che stanno nelle vicinanze”.

Finiti gli studi Georg, in qualità di insegnante, viene destinato in una città industriale,Edgar si era trasferito, in una sporca città industriale, anche egli in qualità di insegnante, Kurt, ingegnere, viene assegnato in un mattatoio in un paese sperduto.

In Romania il più grande sogno dei bambini è quello di diventare poliziotti e ufficiali perché sono gli unici che possono vivere tranquillamente e comandare creando cimiteri e terrore.

Il mondo è del capitano Pjele che sta sempre alle calcagna di Kurt, di Georg, di Edgar, di Teresa e della protagonista del libro. Non c’è scampo per loro che hanno letto libri e sono con le unghia pulite: la fuga, l’espatrio o il suicidio. Subiscono il licenziamento e Georg riesce ad emigrare in Germania ma anche lì arriva la mano del capitano Pjele e “Georg una mattina presto, sei settimane dopo l’espatrio, giaceva sul selciato a Francoforte. Al quinto piano della casa di transito c’era una finestra aperta”. Kurt muore impiccato con una corda, Teresa viene uccisa dal cancro.

Sopravvivono in Germania, dove sono emigrati, Edgar e la voce narrante del libro nella quale vediamo la scrittrice Herta Muller che vive per raccontarci questo terribile dramma della dittatura, del terrore.

“Molte cose le vedevamo esattamente allo stesso modo, come al tempo in cui Edgar, Kurt, Georg ed io eravamo ancora studenti. Ma la sfortuna colpì ognuno in modo diverso, dopo che fummo dispersi per il Paese. Rimanemmo legati l’uno dall’altro. Le lettere con i capelli non erano servite ad altro che a leggere la propria paura nella grafia dell’altro. Ognuno doveva farsi una ragione delle lappole, delle averle, dei bevitori di sangue e delle macchine idrauliche, tenere gli occhi ben aperti e contemporaneamente chiuderli.

Quando perdemmo il lavoro ci accorgemmo che vivere senza questa sofferenza sicura era peggio che vivere sotto la sua costrizione. Poiché per il nostro ambiente, che avessimo o no il lavoro, eravamo dei falliti, lo diventammo anche ai nostri occhi. Benché esaminassimo tutti i motivi e li trovassimo tutti validi, continuavamo a sentirci così. Eravamo fiacchi, stufi delle dicerie, sulla morte imminente del dittatore, stanchi dei morti per fuga, sempre più spinti verso l’ossessione della fuga, senz’accorgersene.

Il naufragio ci sembrava tanto normale quanto il respiro. Lo condividevamo come la nostra fiducia. Eppure ognuno, in silenzio, aggiungeva ancora qualcosa: il proprio fallimento. Là dentro ognuno aveva un’immagine negativa di sé e sfoghi di vanità agonizzante…”

Tutto questo lo abbiamo voluto scrivere per dire al lettore che, attraverso una lettura attenta, scrupolosa, minuziosa, si arriva alla comprensione dell’ordito narrativo che è tutto metafora, abbandoni, surrealismo, molto spesso altamente poetico.

E’ chiaro che la scrittrice ha ripensato il libro per tutta la sua vita e certamente questo è il libro della sua esistenza e credo che lo abbia scritto in uno stato di grande esaltazione intellettuale e morale sapendo che queste narrazioni sono irrepetibili perché rasentano lo stato della follia nascente da una situazione follemente inverosimile ma terribilmente e incredibilmente vera. Certamente il lettore che è abituato a letture “normali” alla prima lettura si disorienta e trova difficoltà a comprendere e a capire “l’ordito” che è veramente straordinario.

E di questo la scrittrice è certamente consapevole se è vero che la protagonista del libro afferma: “Allora pensavo ancora che si potesse camminare in modo diverso in un mondo senza guardie, rispetto a questo paese. Dove si può pensare e scrivere in modo diverso, pensavo tra me, si può anche camminare in modo diverso”. E la Muller ha scritto in modo assolutamente diverso.

Da giovani abbiamo tutti sognato un mondo nuovo e diverso, ci siamo attaccati a nuove ideologie di liberazione e di egualitarismo, abbiamo lottato contro i mulini a vento e ci siamo risvegliati sotto le macerie e allora “Meglio che la nonna canti sempre, che la madre stenda l’impasto sul tavolo, che il nonno giochi sempre a scacchi, che il padre tagli sempre cardi di latte, piuttosto che ci si trasformi improvvisamente in chissà cosa. Meglio che questi qui si congelino in modo così brutto, piuttosto che diventino persone diverse, pensa tra se la bambina. Meglio stare a casa in camera e in giardino tra persone brutte, piuttosto che appartenere a estranei”.

Noi diciamo no a queste terribili considerazioni che nascono da uno stato di prostrazione, di oppressione, di terrore, di mancanza di libertà e diciamo piuttosto che occorre uscire tutti dal personale, dal privato per lottare per un mondo libero e giusto, un mondo in cui ognuno possa ritrovare la propria personalità, la gioia di vivere e di godere delle bellezze del creato che non ha pari.

Grazie signora Herta, noi non conosciamo le altre sue opere ma questo libro ci ha fatto meditare, ci ha fatto soffrire e ci ha dato tanta consapevolezza dei nostri doveri.

IL Nobel l’ha ripagata di tutte le sofferenze del suo popolo.

Agrigento,lì 4.2.2010   www.gaspareagnello.it