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La stagione estiva ci riporta i premi letterari e quindi ci costringe alle letture obbligate dei finalisti o dei vincitori.

Quest’anno, al premio letterario Racalmare “Leonardo Sciascia” Città di Grotte, i finalisti sono tre giornalisti e questo ci ha molto inquietati perché sono diventati moltissimi i giornalisti che si cementano nel mondo della narrativa e spesso con risultati non sempre apprezzabili, in considerazione del fatto che la differenza tra il giornalista e lo scrittore è veramente grande.

Di seguito la video intervista a Franco Di Mare. Durata 20′

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Abbiamo riflettuto su questo argomento e abbiamo constatato che una volta i grandi scrittori venivano ingaggiati dalla testate più importanti come opinionisti, oggi invece quasi tutti i giornalisti diventano scrittori. Ma allorquando il giornalista scrive un libro di inchiesta, che tale vuole rimanere, questo ci sta bene, ma quando vuole oltrepassare il fosso che lo separa dal narratore puro, allora noi restiamo in guardia con molta diffidenza e ci apprestiamo alla lettura con un grande pregiudizio che, molto spesso, ci porta a dare giudizi sbagliati sull’opera o a scrivere qualche cattiveria che poi ci fa inimacare l’autore che, difficilmente, è preparato ad accettare le giuste osservazioni dei critici.

Il primo libro finalsita al premio Racalmare che ci è stato dato di leggere è stato quello di Franco Di Mare “Non chiedere perché ” edito da Rizzoli.

Diciamo subito che Franco Di Mare è statoun giornalista di guerra per più di venti anni, per cui ha acquisito una grande esperienza umana in tante latitudini del mondo dove gli uomini si uccidevano e si uccidono a vicenda con il risultato di una sconfitta generale.

Raccogliendo alcuni ricordi delle zone calde del pianeta, ha costruito uno spettacolo teatrale che è poi diventato libro “Il cecchino e la bambina” edito da Rizzoli.

Ora si presenta al  pubblico con un vero e proprio romanzo “Non chiedere perchè” che è quindi la sua prima opera narrativa.

Dobbiamo subito dire che l’opera può essere suddivisa in due piani di lettura.

Nella prima troviamo l’inviato speciale  che ci narra una sua missione in zona di guerra e precisamente in Bosnia, a Sarajevo, negli anni novanta, quando quelle popolazioni si uccidevano a vicenda per assurde, quanto incomprensibili, rivalità etniche e religiose.

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Sarajevo era diventata una città invivibile anche perché in quella città si poteva essere uccisi in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo e senza motivo alcuno dai cecchini che non avevano pietà neanche dei bambini, dei vecchi, delle donne. Il cecchino  era “il signore della Vita e della Morte”  e aveva il “potere di decidere a chi dare la morte e a chi invece concedere un altro giro di giostra”

E in questo clima di guerra civile  il giornalista Marco De Luca, invischiato nella dramma della separazione dalla moglie Bianca, decide di accettare l’incarico chela Raigli offre di essere inviato speciale in Bosnia.

Qui  Franco Di Mare  giornalista , attento, intelligente, capace di cogliere gli aspetti umani della guerra e la sua insensatezza ci dà notizie utili e fa considerazioni  che fanno pensare il lettore. La narrazione è utile e interessante anche per chi ha vissuto quegli anni attraverso le cronache giornalistiche e televisive e fa riflettere  sui drammi delle guerre e soprattutto di quelle etniche.

Fin qui Franco Di Mare rimane solamente un giornalista.

Ma dall’inviato speciale, per ragioni di ‘cuore’ , viene fuori il fine scrittore allorchè , in mezzo alle granate che devastano un orfanotrofio, nasce una storia veramente bella e commovente che avvince il lettore fino alla fine del libro, tenendolo sospeso a un filo di lana che si può spezzare in ogni momento, per evenienze imprevedibili e anche futili.

L’inviato speciale Marco, quando apprende la notizia che i Serbi hanno bombardato un orfanotrofio, accorre immediatamente per effettuare un servizio televisvo. Ma lì avviene l’imprevedibile. L’orfanotrofio è pieno di ragazze bionde mentre ce ne è solamente una mora. Marco la prende in braccio e la bambina gli butta un braccio al collo.

Quel gesto di amore fa subito scattare una scintilla di fuoco nel cuore di Marco che, senza pensarci su nemmeno una volta, decide di farsi affidare la bambina e tutto questo senza porsi il problema di come dovesse avere l’affido, visto che aveva una causa di divorzio in corso, di come avrebbe dovuto allevarla e da chi avrebbe avuto l’aiuto per crescerla.

L’amore non conosce ragioni ed appunto è bello e grande perché  irrazionale.

E qui lo scrittore Di Mare dimostra un’abilità narrativa veramente eccezionale perché riesce a costruire tante situazioni che avvincono il lettore e lo fanno protagonista della vicenda.

C’è l’intervento di una coppia influente di Sarajevo Edin e Anisa, c’è Luciano l’operatore TV che accompagna in ogni momento Marco, c’è Ljubo, l’accompagnatore bosniaco di Marco, c’è l’autista che studia i percorsi per evitare i cecchini, c’è la severa giornalista svizzera Karen che ha un ruolo particolare nella vicenda della adozione della bimba MALINA. C’è anche la influentissma Maria Teresa Giovannelli,  presidente di una associazione di beneficenza di bambini nel mondo, che aiuta Marco a districare la vicenda molto complessa e  difficile per darle una soluzione positiva. La situazione è veramente ingarbugliatissima. “Era stato, dice l’autore, come comporre un puzzle senza sbagliare un solo pezzo tra il milione di incastri possibili”.

A questo punto  viene spontaneo di chiederci se l’autore abbia voluto artificialmente costruire questo puzzle, per racontarci una storia inventata, per tenerci legati al libro e per darci da mangiare una polpetta ben dosata e magari gustosa.

Dal contesto dalla narrazione, dal modo come l’autore vi partecipa, dalla grande umanità dei personaggi, che sicuramente sono reali, abbiamo la certezza che la storia raccontataci da Franco  Di Mare è una storia di grande umanità, una storia di amore che deve indurre tutti a riflettere sul senso della guerra e sulla innocenza dei bambini che sono il miracolo più bello della vita che a nessuno è dato di  calpestare;  l’autore  in questo piano narrativo diventa veramente scrittore lasciandosi alle spalle il giornalista  che era stato.

Noi non vogliamo entrare nell’ultima parte della narrazione per non togliere al lettore la gioia di scoprire una storia avvincente e altamente umanitaria che ci dice che l’uomo sa ritrovare la sua indole divina anche in mezzo al dramma feroce di una guerra diretta da carnefici, che devono rispondere delle loro atrocità anche dinanzi al tribunale degli uomi oltre che a quello di Dio, ove questo tribunale dovesse esistere.

Vogliamo concludere queste nostre brevi notazioni sull’opera prima di Franco Di Mare con una considerazione di carattere personale: abbiamo letto questo libro ai piedi dell’Altopiano di Asiago dove ci siamo recati per passare le nostre ferie tra i boschi di quei contrafforti, ma la possanza della pagina è stata più forte del richiamo della frescura dei boschi e per alcuni giorni siamo rimasti attaccati al libro. Ora dopo questa lettura edificante andremo a passeggiare  sull’Altopiano con il cuore pieno di gioia e con la contezza di avere scoperto un nuovo scrittore che certamente ci saprà dare altre prove del suo talento letterario.

Chiuppano  (VI), lì 18.8.2011

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