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Presentazione del libro Era Farsi di Margherita Rimi, edizioni Marsilio, relatrice il critico letterario Daniela Marcheschi.

Gentili signore e signori,

Prima di tutto ringrazio voi che siete venuti così numerosi a questa manifestazione culturale e poi ringrazio il Direttore del Parco Archeologico Architetto Parello che  ha voluto organizzare, in questo luogo mitico, patrimonio dell’umanità, la presentazione del libro di Margherita Rimi “Era farsi” edizione Marsilio.

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Ringrazio la estrosa e bravissima pittrice DESISLAVA che espone alcune meravigliose e preziose tele dedicate alla mitica Lazarka che, come Proserpina, propizia la primavera nei paesi slavi.

Detto ciò mi corre l’obbligo di ringraziare la professoressa Daniela Marcheschi che si è spostata dalla sua Toscana fino alla profonda Sicilia per illustrare le belle e significative poesie della poetessa che noi oggi presentiamo a questo magnifico pubblico.

✔ Video integrale dell’evento (1h15′):

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Daniela Marcheschi è docente di letteratura italiana e scandinava. Ha insegnato in diverse università straniere tra cui Uppsala e Salamanca, mentre in atto insegna Antropologia delle arti a Perugia.

E’ un critico letterario e un antropologo di livello internazionale che la Rockeffeller Foundation ha premiato con il Rochefeller Award nel 1996 e alla quale l’Accademia di Svezia ha assegnato il TolkningsPris nel 2006.

Ha scritto una dotta relazione al libro di Luigi Pirandello “L’umorismo” per gli Oscar Mondadori, il libro “Nessuno è poeta- scritti su Giacomo Noventa”.

Ha curato i Meridiani su le opere di Carlo Lorenzini detto il Collodi e sulle opere di Giuseppe Pontiggia.

Ha pubblicato, quindi, “Prismi e Poliedri. Scritti di critica e antropologia delle arti”, “Una luce dal Nord- Scritti Scandinavi”, “Sandro Penna. Corpo, tempo e narrativa”, e

“IL SOGNO DELLA LETTERATURA” Ed. GAFFI che è la summa delle sue teorie letterarie e che bisogna assolutamente conoscere.

Scrive sulle pagine culturali de “Il solo 24 Ore”, su “Nuovi argomenti”, su Kamen e su tante altre riviste.

Come critico la Marcheschi è quindi scrittore. Infatti Tozzi afferma che il critico non “deve limitarsi a fare un discorso più o meno generico sulla letteratura, bensì aspirare ad essere letteratura compiuta essa stessa”. Ed io affermo che attraverso la critica si fa anche autobiografia, si entra nella contemporaneità, nei problemi della società e questo lo dico perché la Marcheschi crede a una letteratura che sia capace di “cambiare il mondo”. Un libro, dice Bufalino, può espugnare una fortezza e su questo certamente siamo tutti d’accordo con la signora Marcheschi, specie io che ho una concezione materialistica della storia e una cultura gramsciana.

Dette queste cose, che mi sambrano dovute, dobbiamo parlare di poesia e quindi della poetica di Margherita Rimi che, con il suo libro “Era farsi” (Marsilio), ha vinto la XXVI edizione del  Premio Laurentum del 2013. Il libro ha la copertina con le immagini pittoriche di Rosario Bruno assemblate da Diego Romeo.

Dice Tahar Ben Jelloun: Io non ho bisogno di denaro. Ho bisogno di sentimenti, di parole, di parole scelte sapientemente, di fiori detti pensieri, di rose dette presenze, di sogni che abitino gli alberi, di canzoni che facciano danzare le statue, di scelte che mormorino agli orecchi degli amanti. Ho bisogno di poesia, questa magia che brucia la pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà loro colori nuovi…”

Quasimodo nel suo “discorso sulla poesia”, citando Gramsci afferma che “La posizione del poeta non può essere passiva nella società: egli ‘modifica’ il mondo…Un poeta è tale quando non rinuncia alla sua presenza in una data terra, in un tempo esatto, definito politicamente. E poesia è libertà e verità di quel tempo e non modulazioni astratte del sentimento”.

E la Marcheschi ci insegna che la parola poesia deriva dal greco poiein che vuol dire ‘costruire’ ‘fare’. “Dunque, dice la Marcheschi, dobbiamo pensare al fare poesia come a qualcosa di molto concreto, appunto all’attività del fabbricare, dell’innalzare muri dell’erigere edifici: alla poesia come arte architettonica, insomma come  edificazione ed espressione di un mondo, come arricchimento stesso del mondo e creazione e costruzione della bellezza…”.-

E sempre la Marcheschi, citando Antonio La Penna, scrive: “perché l’arte sia viva, bisogna che abbia le radici nella vita contemporanea; ma perché sia duratura, bisogna che le contingenze possano essere dimenticate senza che la sua vita ne sia compromessa”.

E Noventa, di cui ha scritto la Marcheschi,  è per una poesia capace di “misurarsi con i grandi temi della vita e della società”.

La poesia dellea Rimi risponde a questi canoni? Certamente sì perché in essa ci sono le problematiche dell’uomo, la sua alienazione derivante dalla complessità del mondo contemporaneo: un uomo che è come “una foglia morta”, che rincorre “una croce che manca” e che quindi non ha speranza della resurrezione.

L’uomo della Rimi vive in un mondo disabitato dove ci sono “Altari di silenzi che si riposano dalle preghiere”

C’è la solitudine, amori mal giocati, sogni infranti da malcurati amori.

Però la scrittura è sempre speranza e quindi la poetessa chiede di non essere abbandonata e spera nel poco ritrovato amore.

La Rimi è psichiatra e quindi non può sfuggire a una tematica drammatica della nostra società che è l’abuso dei minori “papà dove mi porti” oppure “Non si tradiscono i segreti” pronunziato dal bambino cattivo e ancora “ Accura. Nun si toccano i picciliddri”.

Il tutto è raccontato con il culto della parola su cui tutto si fonda, una parola asciutta, usata con avarizia; una prosa impervia, direbbe Antonio Russello; impervia e difficile qualche volta. Francesco Orlando scrive “I versi che aveva scritto erano proprio ermetici eppure  tutte le cose evocate restano nel vago…E’ facoltà del poeta, sapere solo lui di che cosa si parla”. Può sembrare un’iperbole quello affermato dal critico Orlando ma la poesia è libertà e anche follia creativa, diversità, Come dice Quasimodo.

La Rimi conosce la storia della poesia del XX secolo; sa che il dannunzianesimo è morto, ha consapevolezza dell’innovazione dell’ermetismo e quindi usa un linguaggio sincopato in cui un solo verso fa una poesia e tutte le altre parole sono come farfalle che girano attorno.

Una pennelata ed ecco una poesia: Che restava delle code dei treni.

Erano i miei treni di bambino. Andavo alla stazione, vedevo il treno arrivare con la gente che arrivava e partiva e poi, quando il treno partiva, la sua coda scompariva dietro la curva…che resta della coda dei treni…..restava il mio sogno del viaggio, dell’attraversamento dello Stretto, per andare al Nord e andare come Ulisse,chissà verso quali sogni.

Agrigento,lì 8.2.2013.