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Segnalo la presentazione del Libro “Per non perdere le radici” di Francesco Pillitteri, presso il Centro Polifunzionale S. Nicola a grotte (AG), Sabato 4 maggio 2013 ORE 19. Io interverrò con una breve introduzione, se vi trovate da quelle parti mi farà piacere farci una chiacchierata.

Video del mio intervento:

Foto dell’Evento:

Qui la mia recensione:

FRANCESCO PILLITTERI “PER NON PERDERE LE RADICI” Aspetti di vita paesana

Il libro di Francesco Pillitteri “Per non perdere le radici” fa seguito a “Cristalli di zolfo” del 2001, a “Mio padre era emigrante” del 2004, e a “Con la testa all’indietro” del 2007.

Alla luce di questi titoli si potrebbe pensare che il Pillitteri aveva già raccontato tutto del suo legame con il suo paese natale Grotte e che quindi quest’ ultimo libro potesse essere un di più.

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Invece non è così perché Pillitteri, prima di morire, ha voluto scrivere un libro di formazione, della sua formazione, di tutti quei giovani che, nati durante il fascismo, nel 1943 si trovarono all’improvviso liberi, senza avere gli strumenti e la cultura per una scelta politica capace di dare risposte alle nuove generazioni ansiose di un futuro nuovo, diverso e capace di grandi trasformazioni.

“Non si era ancora ultimata la liberazione della Sicilia, scrive Pillitteri, e già la gente, anche se in modo molto confuso, cominciava a parlare di politica e si discuteva di democrazia, di socialismo, di indipendenza della Sicilia”.

Pillitteri era figlio di un paese che non ha grandi tradizioni ma che ha avuto invece grossi fermenti mazziniani all’indomani dell’unità d’Italia che culminarono in una rivolta capeggiata da Franscesco Ingrao, che ha avuto uno scisma religioso nel 1973, la fondazione di una importantissima chiesa Valdese collegata con il nord europa, un nucleo di classe operaia costituito dagli zolfatari che diedero vita al fascio dei lavoratori che nel 1893 organizzò a Grotte il primo congresso regionale dei fasci dei lavoratori.

Grotte è un paese che ha titolato una via a Bruto e non ha una via ‘Cesare’.

Alla luce di questi avvenimenti si formarono uomini che erano impastati di idee mazziniane, massoniche, socialiste come Don Galileo, l’utopista che, il medico Ingrao, definisce “un socialista anarcoide”. Pillitteri, figlio di un caruso, di un emigrante, è attratto da queste idee portate avanti da un uomo solitario ed escluso dal mondo per via di una sua esclusione dalle scuole del regno.

“Chi aveva più tempo da dedicarmi era don Galileo, che prese a cuore il mio indottrinamento politico e mi parlava di libertà, di democrazia, di uguaglianza”.

Quell’utopista ha affascinato il giovane Francesco anche se il medico Giuseppe Ingrao, che il Pillitteri aveva scelto come suo grande interlocutore, aveva definito Don Galileo un “socialista anarcoide di cinquant’anni prima, prevenuto non solo contro il fascismo, ma contro lo Stato”.

Altro personaggio carismatico che colpì la fantasia del giovane studente di legge è stato anche Peppi La Grazia, pastore Valdese e collaboratore degli americani sbarcati in Sicilia.

Questo clima, porta il Pillitteri a prendere la tessera del Partito Socialista il 22.11.1946 ma questa è stata una esperienza fuggevole perché non risulta che lo stesso abbia mai pagato i contributi mensili al partito e poi è da dire che nel quaderno che riporta la sua iscrizione c’è scritto, a matita rossa: “ D.C.”

Infatti, come si evince dal libro, Pillitteri, in quel periodo incomincia a frequentare gli ambienti agrigentini dove conosce il grande Avvocato Vincenzo Campo che segna il suo destino di vita.

“Quelli vissuti accanto a quel generoso maestro, scrive Pillitteri, furono due anni di alta scuola: fu sempre lui-con grande semplicità,- e mentre si commentavano i fatti del giorno-a mostrarmi il cuore delle diverse ideologie politiche e i pericoli che si potevano correre ad opera di chi speculava in nome del popolo”.

Approda quindi allo studio del grande Enrico La Loggia, conosce il prete Salvatore Giammusso per cui “Cominciai ad apprezzare il valore delle idee crisiano- sociali. Fu così che, partito dal mio paese con le idee socialiste-anarcoidi inculcatemi da Don Galileo Lo Presti, approdai alla Democrazia Cristiana, posizionandomi nella corrente sinistra del partito.

Tutti gli altri personaggi del libro fanno parte di un mondo contadino autarchico e autosufficiente, uguali a quelli di Antonio  Castelli di Sciascia,che l’economista, analizza scupolosamanete volendo sottolineare il grande valore di una società patriarcale che si autogestiva e che trovava fondamento nella struttura monolitica della famiglia dove la donna era sottoposta all’uomo ma forse poi era quella che decideva.

La nonna dell’autore  “La Za Cuncetta Mulinara” e la stessa madre, la monaca di casa, Maricchia Montagna erano donne che avevano un ruolo e che, ante litteram, erano più femministe di quelle odierne.

E a coloro che dicono che il libro è pieno di “buonismo” io faccio osservare che non è vero in quanto il Pillitteri non analizza la società del suo paese, le sue PARROCCHIE, con nostalgia o sognando un ritorno al passato, ma scava nel patrimonio delle sue radici per capire il presente. Pillitteri dice che il suo, è “il tentativo di sciogliere i geroglifici dell’educazione originaria…Ho solo cercato di mostrare come l’uomo, esplorando se stesso, possa scoprire la propria fragilità nel male e nel bene, e come, conoscendo se stesso, realizzi proprio la propria dimensione umana”.

Pillitteri parla del “passato, quel passato che ci appartiene e su cui bisognerebbe costruire il futuro”.

Quindi, a mio avviso, questo è il libro della formazione della generazione del dopo guerra, è il libro di giovani che, venuti dal paese, si sono inurbati, raccogliendo successi, senza però voler perdere il valore delle proprie radici senza le quali si finisce nella depressione.

E’ il libro del grande amore in cui Carmen rappresenta, oltre che l’amore, la promozione sociale, un nuovo mondo borghese e pieno di speranza, il libro della solidarietà che ha profonde radici cristiane, la difesa di alcuni valori senza i quali la società va a sbattere.

Ogni microstoria diventa grande storia e il proprio paese diventa metaforta del mondo.

Se letto in quest’ ottica il libro di Francesco Pillittteri diventa un pilastro per comprendere cosa è avvenuto nel nostro paese negli ultimi cinquanta anni del XX secolo il secolo buio e delle speranze di grandi cambiamenti di cui la generazione di Pilliteri è stata protagonista.

Agrigento, lì 22.9.2012

gaspareagnello