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In questo anno 2013 si celebrano i cento anni del romanzo di Luigi Pirandello “I vecchi e i giovani” che è stato publicato a puntate nel 1909 su Rassegna contemporanea e che nel 1913, dopo ampio rimaneggiamento, vide la luce in volume con la casa editrice Treves.

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Per la verità sono stati pochi a ricordare questa data importante della storia della nostra letteratura e, addirittura, ad Agrigento abbiamo dovuto assistere al trasloco a Terrasini del convegno internazionale di studi pirandelliani che ha celebrato i suoi cinquanta anni fuori dai luoghi pirandelliani.

Però dobbiamo dire che in tutti i centri della Sicilia che celebrano i 120 anni dei fasci dei lavoratori il nome di Pirandello e del suo capolavoro vengono fuori prepotentemente.

“I vecchi e i giovani” sono stati al centro del dibattito tenutosi a Grotte il 12 ottobre in ricordo del congresso minerario, lo stesso è avvenuto a Milena dove si è ricordata la rivolta delle donne di Milocca e così in tutti i centri agricoli e minerari dove si svolsero i sanguinosi fatti dei fasci  come a Santa Caterina Villarmosa, a Caltavuturo, ad Aragona, a Casteltermini, a Favara e in tanti altri centri, di cui Pirandello parla ampiamente.

Il 1893, l’anno in cui si svolgono, in maggior parte, i fatti narrati da Pirandello, coincide con il maggior fasto dei fasci dei lavoratori che, dopo la Comune di Parigi, è stato l’evento politico più importante d’Europa di quel tempo. E Pirandello ne diventò storico disincantato, quale osservatore esterno ma attento.

E a tutti noto che il premio Nobel agrigentino non fu uno storico e la sua letteratura ha scandagliato l’animo umano, l’assurdo della vita, l’angoscia del vivere, il senso dell’essere e del non essere se stessi.

Quindi “I vecchi e i giovani” sono una produzione che va fuori dalla tematica pirandelliana per diventare una narrazione storica ma non nel senso classico della parola. Parchè Pirandello non ha fatto ricerche storiche ma ha scritto un romanzo sulla base dei ricordi della sua fanciullezza agrigentina.

E quindi la storia dei fasci dei lavoratori, le lotte politiche, il conflitto generazionale tra i vecchi patrioti e i giovani leoni che si avventarono sullo Stato per depredarlo e creare disillusione e amarezze in quanti avevano creduto in un nuovo mondo.

Pirandello è l’autore di un saggio su “L’umorismo” e, appunto, la sua narrazione è tutta intrisa di umorismo amaro e dissacrante come quando descrive i due rappresentanti dei fasci Nocio Pigna e Luca Lizio, soprannominati Propaganda e Compagnia, che dovrebbero impersonare la nuova rivoluzione proletaria e quindi il sogno di giustizia e di eguaglianza che pervadeva tutta l’Europa.

Era crollato il sogno garibaldino, le terre espropriate alla Chiesa sono state vendute ai feudatari e le condizioni dei lavoratori dei campi si aggravano, lo stato dei lavoratori delle miniere è inumano fino ad arrivare allo sfruttamento dei carusi, il potere viene esercitato dalla Chiesa  e da una nascente borghesia rapace e il popolo si unisce in fasci per ribellarsi. I braccianti, gli zolfatari erano “creta, creta, creta, su cui Dio non aveva soffiato”.

Nasce il Partito socialista e lo scontro elettorale si fa duro ma la vittoria è sempre dei clericali e dei predatori della misera economia siciliana. E questo mentre la vecchia classe risorgimentale, a Roma, affoga, negli scandali. Pirandello non crede che il mondo possa cambiare con la scheda elettorale perché sa che il sottoproletariato vende il suo voto: “coscienze vendute! Che spettacolo! Oh Girgenti, disonore della Sicilia e dell’umanità! Ludibrio, vituperio! Tutti in sagrestia domani, sì, sì. Ad attaccar con le ostie della chiesa le mezze carte da cinque lire…, viva Capolino e viva Salvo! Bacco e viva Mammone!”

Forse da questa esperienza amara nasce la sua adesione al Fascismo che noi non giustificheremo mai.

Comunque è la sconfitta dei vecchi sogni risorgimentali e dei nuovi sogni socialisti che sono spenti dalla repressione crispina.

E’ la tematica verghiana dei vinti a cui Pirandelo è vicino, è la tematica de “I Vicerè” di De Roberto a cui sicuramente Pirandello si sarà ispirato, anche se Matteo Collura si sente di sostenere che De Roberto non ha minimante influenzato la nascita de “I vecchi e i giovani”, è l’ordito narrativo di Tomasi di Lampedusa che, a piena mani, ha attinto sia a De Roberto che a Pirandello, avendo maggior fortuna per tante altre ragioni.

Pirandello non crede nel riscatto: la sua città è definita “la città dei preti e delle campane a morto”. La città, affamata era sempre attraversata da funerali che diffondevano una angosciosa oppressione.

“Chi poteva curarsi, in tale animo, delle elezioni politiche imminenti? E poi perché? Nessuno aveva fiducia nelle istituzioni, né mai l’aveva avuta. La corruzione era sopportata come un male cronico, irrimediabile; e considerato ingenuo o matto, impostore o ambizioso, chiunque si levasse a gridarle contro”.

Da queste parole si può capire come il libro di Pirandello sia oggi di grande attualità e perché è ricordato in tutte le manifestazioni celebrative dei fasci che sono anche manifestazioni che si pongono il problema di un nuovo meridionalismo che  è stato cancellato dall’agenda politica del nostro paese.

La Sicilia “che sola, senza patti, con impeto generoso s’era data all’Italia e in premio non ne aveva avuto altro che la miseria e l’abbandono”.

Donna Caterina Laurentano dice al figlio Roberto Auriti:

“Nel sessanta, caro Roberto, sai che facemmo noi qua? Sciogliemmo in tante tazzoline le animucce nostre, come pezzetti di sapone; il Governo ci mandò in regalo un cannellino per uno; e allora noi qua, poveri imbecilli, ci mettemmo tutti a soffiare nella nostra acqua saponata, e che bolle! Che bolle! Una più bella e più variopinta dell’altra! Ma poi il popolo cominciò a sbadigliare per fame, e con gli sbadigli, addio! fece scoppiare a una a una tutte quelle magnifiche bolle che sono finite, figlio mio, con licenza parlando, in tanti sputi… Questa è la verità”.

Verità attuale che tutti dovrebbero conoscere leggendo o rileggendo il romanzo”I vecchi e i giovani” che, a distanza dio cento anni, mostra grande freschezza e vitalità. Un libro che sembra scritto per la realtà che oggi stiamo vivendo drammaticamente.

Parte di questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano La Sicilia del 22 dicembre 2013 a pag 26.

Agrigento, lì 20.12.2013

Gaspare Agnello