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Antonio Di Grado, all’inizio di quest’anno 2014 ci ha regalato un preziosissimo tascabile della casa editrice Bonanno “UN CRICIVERBA ITALO-FRANCO- BELGA” ‘Sciascia – Bernanos – Simenon” in cui esplora mondi un po’ sepolti dal tempo o dall’ignavia, che ci fanno conoscere aspetti inusitati della nostra letteratura e legami letterari che potrebbero sembrare ‘impensati’ ai ben pensanti.

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Di Grado si cimenta in un’impresa che sembra impossibile e cioè cerca e trova grandi punti di convergenza tra scrittori che sembrano avere caratteristiche diametralmente opposte: il laico Sciascia e il cattolico oltranzista Bernanos, il giallista e, non solo, Simenon sono accomunati da un filo comune che li unisce.

Il libro si compone da sei capitoli:

1)      Attrazioni fatali

2)      Intermezzo d’autore

3)      La musica dell’uomo solo

4)      Altre inquisizioni

5)      Il diavolo, probabilmente

6)      La finestra dell’anarchico.

Alla fine c’è un capitolo “Appunti per una conversazione su ( e fra) cristianesimo e anarchia”, che potrebbe sembrare fuori luogo e che invece è legato allo stesso filo comune che unisce Gesù ai tre scrittori oggetto dell’analisi del nostro autore.

Del resto Sciascia scriveva che la letteratura “è un sistema di ‘oggetti eterni’ che variamente, alternativamente, imprevedibilmente splendono, si eclissano, tornano a splendere e ad ecclissarsi-e cos’ via- alla luce della verità. Come dire: un sistema solare”. La letteratura come un sistema solare in cui opere e autori imprevedibilmente si associano e si incontrano o scontrano.

Sciascia amava Bernanos e Simenon perché intanto, non credente, ha vissuto la sua vita da vero cristiano e poi perché amava il giallo, cosa che può sembrare strano, come strano appariva al suo grande amico di sempre, il Professore Pio Lo Bue che lo vedeva immancabilmente con un giallo sotto il braccio specie nei viaggi in treno da Racalmuto a Caltanissetta.

Il Professore Di Grado riesuma un interessantissimo articolo pubblicato da Sciascia il 2 aprile 1961 su Mondo nuovo” ‘La scommessa di Simenon’ in cui, citando Savinio rivaluta Simenon, la sua scrittura.

‘Ragazzi non prendete sottogamba il vecchio’ scrive Sciascia con una frase di Emingway. E ancora “le indagini di Maigret assumono toccante pietà e poesia: e il cattolico senso del peccato e la dura necessità della legge diventano umana comprensione, indulgente saggezza”. Ecco allora in queste parole Bernanos e i personaggi sciasciani.

E non finisce qui l’interesse di Sciascia per il giallo perché nel settembre 1975 pubblica su “Epoca”, in due puntate, un saggio intitolato “Breve storia del romanzo giallo” e se andiamo più indietro troviamo che già nel 1953/54 Sciascia consegnava a “Letteratura” e a “Nuova corrente” le sue considerazioni sul giallo.

Con questi scritti scopriamo un volto poco approfondito dello scrittore di Racalmuto che legge e studia i gialli e che scrive libri in cui il giallo è un pretesto per scrivere opere di denunzia di una realtà drammatica quale quella siciliana che è metafora del mondo.

Il giallo in Sciascia non esiste perché, come scrive Di Grado “ La soluzione del “giallo”, del resto, è sempre in Sciascia la più agevole; e viene offerta sin dalle prime pagine. Ma la soluzione deve essere ovvia, così come la storia di ordinaria follia del farmacista Cres, perché altro è il giallo: ed è la macchinazione che ‘il contesto’ elabora intorno a quel primo e accidentale crimine, inscenando un macabro teatro e un intreccio barocco di apparenze e depistaggi. A questo teatro della menzogna e della morte il protagonista arriva, finalmente consapevole e definitivamente sconfitto, attraverso un penoso calvario culminante nella propria morte: vale a dire nell’annullamento sacrificale, nell’immodificabile ‘contesto’.” E poi, in un mondo ‘irredimibile’, non sempre verità e giustizia coincidono.

E’ chiaro quindi il grande interesse che lo scrittore di Racalmuto avesse per Simenon.

Per quanto attiene Bernanos lo stesso Sciascia ebbe a scrivere: “Uno scrittore cattolico che io (laico, illuminista, voltairiano: e tutto quello che di me si dice e che non nego) sento in questo momento più di ogni altro vicino, quel Georges Bernanos che contro il franchismo, dalla cui parte i suoi figli combattevano, ha scritto, rovente atto di accusa”. E per questo Bernanos viene isolato come Gide, come Sciascia che subisce le scomuniche comuniste per il suo “Contesto”. Tre uomini soli ma grandi nella loro solitudine anticipatrice di verità postume.

Sciascia e i personaggi di cui tratta non sono catalogabili o incasellabili in categorie ben definite, non possono avere tessere, né appartenere a ‘partiti’(nel senso di parte), ne possono condividere le ‘chiese’ come istituzioni, sono personaggi anomali ‘anarchici’ della stessa anarchia del Gesù dei vangeli.

“L’anarchia, di questi personaggi, scrive Antonio Di Grado, ha poco a che fare con qualsivoglia movimento recante questo nome; penso piuttosto a un impasto di mitezza e ironia, di estraneità e silenzio, di sconfinata libertà e felice incoerenza. Penso a una gaia scienza che contraddica e soprattutto si contraddica: a un pessimismo benevolo, a una indignazione tranquilla, a una dubbiosa ebbrezza, a una fede che è spazio vuoto, abitabile per fortuiti accidenti dalla disperazione, oppure dalla grazia, o da entrambe. Penso a figure e mentalità avverse o meglio estranee a tutte le istituzioni, le chiese, gli schieramenti, le certezze, le ideologie, i metodi, le interpretazioni…”

“…L’ “uomo solo” (chiamatelo anarchico, libero e libertario, antagonista o demistificatore, o homme révolté alla maniera di Camus) fa a meno delle istituzioni e si sottrae alle norme con la stessa grazia innocente con cui Francesco ad Assisi si spogliò delle vesti”.

L’altro uomo solo è Gesù che muore sulla croce abbandonato anche dal padre. “E non c’è figura, scrive Di Grado, più politicamente scorretta, più scandalosamente ‘inattuale’ di Gesù. Le nostre parole feticcio- ‘merito’, ‘legalità’- le frantuma e le ribalta. Sceglie di accompagnarsi ai peggiori- terroristi o collaborazionisti, indemoniati e peccatrici, paria ottusi e traditori-e irride al legalismo  degli scribi di ieri e di oggi e alle norme della sua e d’ogni chiesa, della sua e d’ogni ‘società civile’. E coi demoni parla, tratta alla pari, coi potenti tace, sprezzante e disilluso…”.

“….dai suoi familiari (altro che sacra Famiglia!) è smentito e trattato da povero demente, da proteggere sottraendolo alle folle e al suo implacabile mandato. E s’accompagna con la feccia, scagliandosi invece contro quei Farisei che erano l’intellighenzia progressista del tempo. E si comporta da sovversivo, da terrorista nella scena cruciale della cacciata dei mercanti dal Tempio, quando non solo smantella con rabbiosa violenza la struttura speculativa che la casta sacerdotale ha allestito a ridosso del Sacro, ma quello stesso Sacro profana da iconoclasta, perché no da anarca, Lui che era venuto non già a portare la pace ma la spada, lui che quel Tempio si diceva pronto a distruggere e riedificare…”.

“…E dopo l’ultima cena darà ai discepoli inequivocabili istruzioni, non da pacifista votato al martirio: Chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una”.

Questo Gesù anarchico, rivoluzionario di Antonio Di Grado è una figura accattivante, più moderna, un rivoluzionario che si ribella allo strapotere dei romani e ne contesta la potestà, ma certamente pone altri problemi di primazia che poi sono stati nefasti nel medioevo e fino ai nostri giorni. Ma questo è un altro discorso che non inficia la bellezza e la novità di questo scritto così bello e affascinante.

Questo cruciverba di Di Grado è come un faro che getta nuova luce su personaggi significativi del novecento, è un documento che tutti gli intellettuali dovrebbero assaporare per gustare la verità che non è mai tale e che ha tante facce.

Di Grado  disvela una verità che illumina con documentata certezza, con la conoscenza profonda dei personaggi e della letteratura europea e ci fa vedere cose che noi avevamo solo intravisto e che oggi abbiamo più chiare. E’ l’amore immenso per il suo grande amico Leonardo, la sua conoscenza profonda dell’uomo e del letterato che lo portano a fare analisi profonde e rischiose che diventano certezze alla luce di una logica stringente che nasce appunto dalla conoscenza dei testi e dei personaggi.

Noi siamo certamente usciti più ricchi e molto soddisfatti da questa lettura così dotta che ci ha aperto nuovi orizzonti su un mondo letterario del novecento tanto affascinante, quanto complesso.

Agrigento, lì 4.6.2014

Gaspare Agnello