(articolo letto 1.300 volte)

Recensione di un libro Non ancora nato. NIOBE  ‘L’OSTRICA SENZA PERLA’ Di EVELINA MAFFEY

La mia lunga vita mi ha riservato tante sorprese e tantissimi incontri che hanno determinato profondi cambiamenti nel mio modo di essere.

a-piazza-di-spagna-per-linfiorata-di-evelina-maffey-poesia-dedicata-a-gaspare-agnello-570x427

Evelina Maffey e Gaspare Agnello.

Nel 1955 ho incontrato Sandro Pertini che ha dato un senso di profonda religiosità e umanità al mio essere socialista, nel 1982 ho annodato il filo di una grande amicizia con Leonardo Sciascia che ha cambiato la mia vita dandomene una seconda piena di libri e di letteratura, più bella e più significativa della prima che induceva al compromesso e anche all’errore grave, tipico della politica.

Ora due donne strane, ma molto strane, Margherita Rimi e Evelina Maffey, mi conducono, mano nella mano, nel mondo onirico della poesia che non è stato mai il mio terreno di gioco.

La Rimi mi conduce nel mondo dell’infanzia e soprattutto dell’infanzia offesa, la Maffey in quello tutto poetico intriso di sentimenti, di passione, di amori eterei e carnali, di mitologia, il mondo di una cultura poliedrica che spazia dal classico alla cultura anglosassone.

La Maffey non scrive con metodo, per pubblicare ma per istinto di passioni che si rivelano di volta in volta. Per scrivere ha bisogno di un’emozione, dei drammi che la vita riserba a ognuno di noi, di un paesaggio, del mare che guarda dalla sua finestra, del cielo stellato, della luna d’agosto, della tempesta, di un grande amore vero e folle, come la sua testa.

Io l’assecondo perché so che ogni suo parto è una perla.

Le sue poesie sono fiumi in piena, fiumi di sentimenti, da dove emerge una donna inquieta, complicata, felice e infelice allo stesso tempo, una Alda Merini al ‘quadrato’.

Alda Merini al quadrato può sembrare una bestemmia? Penso di no perché la poesia della Maffey ha una maggiore complessità, un entroterra culturale ben più radicato e profondo che dà sicuramente frutti più succosi.

E la Maffey resta poetessa anche quando scrive in prosa, quando ti guarda, quando parla, quando narra il suo dolore, la sua condizione di donna e di madre.

Nel 2002 la poetessa Maffey ha subito un aborto spontaneo proprio all’inizio della gravidanza e ha scritto un diario di questa breve e drammatica vicenda che, a mio avviso, è un piccolo capolavoro letterario e umano che rischia, anch’esso, l’aborto se non ci sarà qualche appassionato di belle lettere che lo salvi.

Io mi propongo di salvare questo scritto che deve vedere la luce per far capire agli uomini quanto grande è la forza della donna e specialmente della donna madre, che non ha pari.

La donna, nel momento in cui apprende di aspettare una creatura che si annida dolcemente nella sua caverna, diventa una leonessa capace di grandi manifestazioni di amore ma anche di aggredire mortalmente anche se stessa per la colpa di non aver saputo o potuto tutelare la propria creatura che fa parte del suo corpo, della sua vita.

“Fino adesso ero una donna, ma ora sono una madre e mi sento circondata da un alone magico, di un’aurea sacra. Sono intoccabile, porto dentro di me un anello magico, la circolarità del tempo senza tempo, l’asse dell’eternità, sono intoccabile, sono sacra e mi sento forte”.

All’inizio della gravidanza il ‘Bambino’ è “un punto dell’infinito non ancora localizzato” Un punto che è già vita con cui la mamma dialoga. Il puntino le parla e le dice “esisto e questo basta. Mi moltiplicherò in miliardi di cellule. La vita cresce in me. Un giorno sarò qualcuno”… “Sono felice che mi accogli nel tuo grembo. Sono il tuo piccolo punto dell’infinito e ora inizia la mia grande avventura insieme a te. Che bello! Quanto mi piace viaggiare!”… “Ormai sono parte di te e tu fai parte di me. Siamo due cose in una. Capisco la tua paura. Anch’io ho paura. Ho paura di quello che mi succederà…Tra di noi ci sarà SEMPRE un’intesa, un affiatamento.”

Ecco, il puntino, per la scienza, è solo un puntino, ma per la mamma è già ‘IL FIGLIO’, un “ piccolo cavalluccio marino”, un pulcinella di mare:

“Voglio vedere presto la luce

Volare in alto come un aquilone

Variopinto nel cielo azzurro

Veleggiare tra le nuvole, galoppare

Velocemente sull’arcobaleno.

Voglio essere il tuo pulcinella di mare.”

I sogni muoiono all’alba: il puntino scompare e diventa un grumo nero di sangue; l’ostrica ha perso la sua perla e resta vuota.

In un “lettino bianco il mio sogno di madre si è infranto.”…”L’ultima parte di te se ne andrà in un grumo di sangue.”….

“…Ho le contrazioni ma non sto partorendo: il mio corpo si sta contraendo per espellere questo mio nucleo radicato, abbarbicato ferocemente, avvinto al mio corpo come un crocefisso alla sua croce.”

“…Ho visto un corpo da immolare al Dio tribale. Ho visto Maddalena pronta a espiare il peccato di essere donna. Ho visto una donna colpevole di desiderare l’amore. L’amore puro e più grande al mondo: L’amore di un figlio.”…

“… Mi sento come un’ostrica vuota. La perla mi è stata rubata.”… “Il mio uccellino è volato via. Il tuo cinguettio si è trasformato in un grido straziato della madre che non ritrova più il suo piccolo.”

E la poetessa paga per l’orgoglio di essere donna e madre: “Ho visto Maddalena pronta a espiare il peccato di essere donna. Ho visto una donna colpevole di desiderare l’amore. L’amore puro e più grande al mondo: l’amore di un figlio”

“Sono Niobe in un blocco di marmo, le mie lacrime un ruscello che sgorga lamenti. Ora Niobe è priva di vita.”

L’ostrica è rimasta senza perla…vuota.

Da queste brevi notazioni il lettore si renderà certamente conto che il manoscritto della Maffey è un capolavoro poetico, una sinfonia di sentimenti che erge a divinità la donna madre che giganteggia su tutto e su tutti. L’uomo! No, non potrà mai capire il senso profondo della maternità perché non ha il cordone ombelicale che lo lega indissolubilmente al figlio.

La donna che perde il figlio diventa una mamma della Plaza de Mayo, diventa la Maria del Venerdì Santo che vediamo nei nostri paesi effigiata con gli occhi rivolti al cielo verso l’eterno e con un pugnale che gli trafigge il cuore, diventa Niobe che è pietrificata per la morte dei suoi quattordici figli.

Questi sentimenti li può capire solo chi li vive sul proprio corpo e la Maffey li ha divinizzati, li ha fatti diventare poesia alta in un’opera sobria, incisiva, sublime che non può restare nel cassetto ma che deve vedere la luce affinchè il mondo letterario italiano possa conoscere questa poetessa, questa scrittrice che esce fuori dal comune e che ha una marcia in più.

Oggi tutti pubblicano e quindi è difficile che la buona letteratura emerga perché la moneta cattiva scaccia quella buona.

L’olio estratto dagli uliveti folti e bellissimi del saccense emerge dall’acqua nera e oscura e l’uomo sapiente con il palmo della mano lo raccoglie e lo fa brillare dentro bianche bottiglie di vetro.

A noi spetta il compito di separare l’olio profumato da quella che noi chiamiamo “murga” e saper presentare agli intenditori delle buone lettere un prodotto poetico e umano che resterà scolpito nei cuori degli attenti lettori.

Infine vogliamo dire ai lettori smaliziati che questo racconto non è il libro di una donna antiabortista e la solita solfa di quelli che negli anni precedenti hanno condotto una dura battaglia contro la libertà della donna di abortire, ma è il racconto poetico del dramma dell’aborto sia spontaneo che procurato che, in ogni caso, è cosa terribile da subire.

Agrigento, lì 10.9.2014

www.gaspareagnello.it