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Renato Schembri arriva per la terza volta nelle librerie con il suo nuovo romanzo “Stagioni del silenzio” 8libriedizioni.

Questo in ordine di tempo è la sua terza pubblicazione ma in effetti dovrebbe essere la seconda perché il libro era già pronto dopo che ha pubblicato Reiko e prima de “Il parco”.

Infatti tra i racconti de “Il parco” ce n’è uno la cui vicenda si trova nella nuova pubblicazione.

schembri

Questo nuovo lavoro ha avuto un parto difficile e molto  tormentato e questo forse gli ha giovato perché ha avuto tempo di “sedimentare” come diceva Sciascia e quindi di essere sottoposto a un lavoro di revisione e di correzione molto utile, per cui possiamo affermare con molta certezza che non abbiamo trovato i soliti errori dei libri che non vedono la luce con grandi case editrici che hanno i correttore di bozze. Questa volta Renato è stato attento e il libro ha trovato uno stile molto asciutto e scorrevole che affascina il lettore che vuole andare avanti velocemente per conoscere lo svolgersi dell’opera senza alcun inciampo di natura lessicale. E basta solo questo per dire che Renato Schembri con questo terzo libro si laurea narratore molto attento e raffinato che può spaziare in diversi campi, anche in quelli fuori  dalla sua professione.

Dico questo perché i due precedenti libri avevano il vizio della ‘professione’ dell’autore e cioè si muovevano nel campo della psicologia senza con ciò nulla togliere alla valenza delle opere.

Questa volta l’autore esce dal  mondo dello psicologismo ed esplora altri spazi, altre realtà letterarie.

Parte sempre dal dramma psicologico, dal dubbio, dal dramma del vivere in questa società secondo i canoni della propria coscienza, per arrivare a una forma di giallo tutto particolare.

Non il giallo classico con il morto o il Maigret o il Montalbano di turno, ma un giallo con tanti morti e con una coscienza tormentata, eroica e vigliacca che lentamente distrugge la vita del protagonista Francesco che perde i suoi amori ed è costretto a confrontarsi con tanti personaggi migliori di lui e con una società corrotta che si adatta a vivere tranquillamente facendo tacere la coscienza e infischiandosene delle regole del vivere civile.

Il romanzo è ambientato in Sicilia ma la storia si potrebbe ambientare in qualsiasi paese del mondo infatti Schembri ha evitato il professionismo dell’antimafia e ha parlato del traffico di droga che potrebbe essere tipico della mafia ma anche della criminalità comune o di altre organizzazioni malavitose che esistono in tutte le parti del globo.

Questo gli fa onore e dà al romanzo un respiro universale che va fuori dagli schemi tipici di una logora e stantia letteratura siciliana che vive di antimafia, quell’antimafia che ora è pure praticata dai mafiosi che si pongono in alti posti di responsabilità e fanno continuamente esercizio di antimafia, salvo, qualche volta, ad essere sconfessati da intercettazioni o da affari loschi.

Quanto dolore provocò a Sciascia avere scoperto la mafia dell’antimafia!!! Ma questo è il destino dei grandi veggenti il cui valore viene riconosciuto post mortem.

Francesco Cutti è un giovane che vive la sua vita tranquilla di impiegato in un ufficio che si interessa di programmazione urbanistica ed è anche stimato e apprezzato dal suo Direttore, ma non molto dai suoi colleghi. Vive un rapporto amoroso non molto intenso con Gianna con la quale si reca, una sera, in una       tipica trattoria di paese dove si mangiano i ceci, le fave, la trippa, ‘li piduzzi’ di maiale e altre leccornie che non si trovano più nei ristoranti cittadini. Nel locale incontra un gruppo di giovani tra i quali Mario Palladino. Quando esce dal locale per ritornare nella propria città, entra in macchina e nota i quattro giovani già nella loro macchina, sente una motocicletta da enduro, quindi alcun rumori strani e poi vede nella macchina dei ragazzi una macchia di sangue.

Hanno sicuramente sparato e lui aveva avuto il tempo di vedere in viso il giovane  motociclista che aveva la pistola in mano: ha visto due occhi neri, stretti e affilati da sopracciglia sottili.

Ha capito che era accaduto qualche cosa di grave, ma non ha voluto allarmare Gianna e ha fatto finta di niente proseguendo per la sua strada. Il giorno seguente ha appreso dai giornali che erano stati uccisi due giovani.

Francesco aveva visto due occhi neri, stretti e affilati da sopracciglia sottili e aveva tirato avanti. Ha usato un atteggiamento omertoso. L’autore mi pare che non usa mai questa parola tipica della Sicilia perché quella di Francesco non è l’omertà di cui tutti parliamo in relazione al fenomeno mafioso ma è un’altra cosa.

Un atteggiamento psicologico di vigliaccheria, un atteggiamento piccolo borghese che cerca il quieto vivere e che non vuole alterare l’equilibrio della sua vita e della sua ragazza.
Quegli occhi neri però hanno distrutto l’equilibrio della vita di Francesco e. Non avrà più pace e tutto quello che gli gira intorno sarà correlato a questa sua terribile decisione di non denunziare un gravissimo fatto di sangue e quello che aveva visto, alla polizia.

Perché questo comportamento? Lui stesso non lo sa, però vede come glia altri si comportano e prova vergogna.

Il suo amico Rosario, che lavora in un ufficio di assistenza, vede i suoi colleghi che rubano e si fregano le cose che dovrebbero andare ai poveri. Denunzia il fatto a chi di competenza e, nel suo ufficio, viene emarginato.

Rosario ha la schiena dritta, ha una coscienza da uomo e si ribella e non potendo fare altro in una società  corrotta in cui la politica copre le ruberie dei propri adepti. Emigra in Spagna, dove forse non troverà una società diversa.  Si ribella e va via. Questo conta.

Lui, Francesco, invece, ha assistito a un delitto e non ha denunziato il fatto. Questo lo tormenta e ne fa un uomo infelice.

Lascia la sua Gianna e si innamora della figlia del suo Direttore che viene dal Messico dove si è laureata in medicina.

Nasce un amore bellissimo che Schembri  descrive con molta bravura. Il lettore è coinvolto da questo bel rapporto e vive con loro la gita sull’Etna.

Marianna asseconda Francesco, se ne innamora, lo va a trovare in casa come una vecchia amica, escono insieme con la complicità del padre Dottor Aureli, ma in una di queste uscite Francesco si imbatte in due omicidi e scopre poi che i due uccisi sono i due ragazzi che all’uscita della trattoria hanno subito l’assalto dell’uomo con gli occhi neri e che si sono salvati.

Ancora affiora la sua coscienza che si ribella e lo rimprovera per la sua grande vigliaccheria. Racconta tutto a Marianna per avere conforto e invece perde irrimediabilmente la sua Marianna che ritorna a Cuernavacca.

Questa è un’altra dura lezione inflitta al vigliacco che va rimanendo solo e si isola ancora trovando rifugio nel computer che crea amicizie e incontri solamente virtuali

Francesco ha un fratello che fa servizio in Albania come ufficiale dell’esercito italiano in missione di pace.

Un giorno il fratello Giovanni torna e ha una licenza più lunga del solito, cosa che lo insospettisce. Gli chiede perché di questa lunga licenza e Giovanni gli confida che deve testimoniare in una causa contro un suo superiore che, violando ogni regola e contro il volere dei suoi subordinati, ha usato le armi contro i civili, uccidendo un bambino.

Tutti volevano far passare sotto silenzio la vicenda ma Giovanni, sapendo che c’era di mezzo la vita di un bambino, ha denunziato il fatto ai superiori e ha liberato la propria coscienza.

Questo racconto è un altro colpo mortale per Francesco che si sente un miserabile rispetto a tutti quelli che gli stanno intorno e che si comportano da uomini veri.

A Francesco resta un solo amico, Massimiliano che vive a Palermo dove ha una bella casa nella quale organizza feste dispendiose e allegre.

Massimiliano è un amico d’infanzia e con lui Francesco rievoca la fanciullezza quando, spensierati, nel paese giocavano a “Puddizzuni” Queste rievocazioni sono bellissime e servono a Francesco come rifuggio, come evasione da una realtà drammatica in cui si è cacciato per un puro caso del destino da lui non cercato.

Massimiliano invita Francesco a una delle sue  feste e questa volta Francesco non vuole andare ma alla fine cede e si reca a Palermo e lì succede l’imprevisto.

Francesco rivede in quella festa ‘gli occhi neri, stretti e affilati da sopracciglia sottili’.

Quegli occhi sono di un amico di Massimiliano e quindi si capisce che la vita splendida e le macchine lussuose di Massimiliano nascono dal traffico di droga e da rapporti loschi con gente che è capace di uccidere per denaro.

Il resto non lo raccontiamo perché lo lasciamo scoprire all’attento lettore.

Alla fine Francesco non riesce a pulire la sua coscienza e con la macchina si trova a un bivio con due strade: una porta al nord l’altra al sud.

A nessuno di noi è dato di sapere quale strada prenderà Francesco. Il romanzo finisce come inizia con una macchina che corre sull’asfalto e che si trova sempre a un bivio per scegliere.

Francesco non sa scegliere e continua a fotografare le nuovole che sono solo nuovole e che qualche volta diventano acqua.

Questo è il romanzo di Schembri che ci fa riflettere sulla nostra vita, sul mondo nel quale viviamo in cui c’è corruzione, abusivismo, politici che fanno le loro carriere mettendo a tacere la coscienza e il bene comune.

Però noi nel romanzo abbiamo voluto vedere di più e abbiamo individuato dei tratti autobiografici dell’autore che ci hanno intrigato.

Guardate cosa dice il Direttore di Francesco a Gianna: “Francesco è un gran lavoratore ma in quanto a relazioni sociali, eh? Diciamo che è …un po’ anarchico”….

…Oltre a essere anarchico è, come dire…primitivo. Si, secondo me si potrebbe proprio utilizzare una definizione di questo genere: primitivo”…

“…A proposito, Francesco, è la prima volta che ti vedo in giacca e cravatta. Dovresti metterla più spesso, ti dona”.

E poi vediamo cosa dice Francesco di se stesso quando viene abbandonato da Marianna:

“ L’amore non si rivela con i protocolli, con documenti autografi, con carte bollate. Chi crede a queste fesserie, chi dà fede ai documenti di un matrimonio o alle lettere appassionate è un illuso, nei casi più felici è consapevolmente illuso.

La passione amorosa è una vibrazione indefinibile che riscalda il corpo, che fa sentire suoni, che fa vedere immagini. Nessuno può avere la pretesa di arrivare a comprendere pienamente i suoi movimenti complessi, le sue costruzioni, le sue involuzioni, le sue cadute.

Uscire la mattina, andare a lavorare, timbrare il cartellino…tutto era diventato insopportabile. Non ne comprendevo il senso, la mia anima anarchica venne fuori e mi riportò ai miei vissuti adolescenziali, quando mi sentivo oltre il meccanismo e non volevo entrarci: lavorare, pagare l’affitto e le bollette, lavorare, pagare le rate della macchina e fare una gita fuori porta, lavorare, scopare, lavorare. Non ci volevo entrare dentro il meccanismo. Erano parti della mia persona che, ingenuamente, credevo di avere educato attraverso uno sforzo di disciplina, accettare gli orari, accettare le gerarchie, accettare le regole di un mondo che non comprendevo”.

E in questi pensieri c’è tutto Schembri uomo.

Per finire dobbiamo parlare della prosa che, come detto, è pulita e scorrevole, ma la parlata è quella comune che non si usa nei libri.

Schembri fa parlare i suoi personaggi senza infingimenti, come parlano tra loro per cui abbondano gli organi mascolini. Avrebbe potuto farne a meno? Probabilmente sì. Però Schembri dice che i giovani, tra loro, usano questo linguaggio che io chiamo “grasso” e lui non si sente di mettere loro in bocca un altro linguaggio letterario che non usano.

Bisogna apprezzare la schiettezza e la verità come quando la prostituta Isola propone al suo cliente non un atto di amore normale ma la fellatio.

Bella la postfazione di Beatrice Manroj e la copertina che indica il giovane Sciascia con la bocca cucita.

Con questo libro Renato Schemori supera la prova del fuoco e comincia a diventare scrittore a tutto tondo sia per le cose raccontate sia per lo stile usato anche se molto spesso è irriverente.

E’ dura e lunga la strada dello scrivere e Schembri si trova incamminato di buona lena sulla strada giusta.

Agrigento, lì 9.2.2015
Gaspare Agnello