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Sorgi, reagisci, rinnovati

Il reverendo redentorista Giuseppe Russo pubblica, in proprio, il libro “Agrigento città da amare”  con  il sottotitolo ‘Sorgi, reagisci, rinnovati’ in cui raccoglie una serie di articoli pubblicati sul settimanale cattolico “L’Amico del Popolo” dal 2001 al 2010, tutti riferentesi  alla città di Agrigento dove opera come parroco della magnifica chiesa di Sant’Alfonso e responsabile del complesso dei liguorini.

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Padre Russo ha alle spalle una lunga attività giornalistica e tante pubblicazioni soprattutto di natura religiosa.

E’ stato prete di frontiera avendo operato nel quartiere CEP di Palermo dal 1969 al 1982 e nel quartiere Uditore dal 1982 al 1999.

Dal 1999 è stato assegnato ad Agrigento nella Chiesa di Sant’Alfonso da dove ha osservato acutamente la vita politica e sociale della città intervenendo con una serie di articoli pubblicati dal settimanale “L’Amico del Popolo”, alcuni dei quali, come abbiamo detto, fanno parte della presente pubblicazione che noi oggi abbiamo l’arduo compito di presentare al pubblico agrigentino.

Diciamo arduo perché la pubblicazione abbraccia un lungo e importante periodo della vita politica agrigentina e perché in esso sono affrontate tutte le tematiche principali della nostra comunità con riferimenti storici molto significativi che danno senso alle problematiche attuali.

Sono presenti considerazioni su come avvenne la conquista della Sicilia da parte dei garibaldini con giudizi in parte da condividere in parte da contestare, considerazioni sulle encicliche papali a partire da Leone XIII, sulle delusioni dei siculi picciotti, sul ruolo della massoneria e quindi dei carbonari, dei socialisti e  dei fasci dei lavoratori, giudizi su questi ultimi avvenimenti che non possiamo assolutamente condividere perché i socialisti non sono da considerare alla stessa stregua dei massoni e anzi hanno avvallato, con qualche ritardo, il più grande movimento rivoluzionario avvenuto in Italia dopo l’unità, quale il movimento dei fasci dei lavoratori.

Ma ritornando al libro di cui noi oggi discutiamo dobbiamo dire che se volessimo affrontare tutti i problemi in esso trattati dovremmo impiegare qualche mese. Noi ci limiteremo a fare una carrellata di carattere generale, rimandando i presenti a una attenta lettura per saperne di più.

Come prima cosa dobbiamo dire che il libro aveva bisogna di un più attento lavoro di lima per eliminare tantissime imperfezioni stilistiche che, chi è abituato alla critica letteraria, nota con un certo fastidio.

Le pubblicazioni hanno sempre bisogno del correttore di bozze che, nelle pubblicazioni in proprio, manca.

Poi abbiamo notato una certa concezione populista della politica tendente ad attribuire tutto il male possibile ai parlamentari che risultano quasi tutti essere dei tornacontisti acchiappa voti ai fini esclusivamente personale, cosa che non può essere del tutto vera.

Infine abbiamo notato una certa concezione lombrosiana che farebbe degli agrigentini un popolo di sottosviluppati proni al padrone e senza alcuna capacità di ribellarsi e questo non è assolutamente vero come si evince da qualche articolo quando lo stesso Don Giuseppe afferma che gli agrigentini se vanno fuori fanno molto spesso carriera e si affermano in molti campi della vita politica, economica e sociale.

Quindi nessun handicap genetico affligge gli agrigentini. Purtroppo è la storia politica ed economica della nostra isola che fa degli agrigentini un popolo capace di subire all’infinito e prono al padrone di turno da cui si aspetta la soluzione dei propri problemi personali.

Don Giuseppe, anche se non è un economista, capisce che il passato storico ha un grande peso nella formazione di un popolo e quindi duemila anni di dominio straniero hanno distrutto le coscienze dei siciliani, cosa che ha notato Tomasi di Lampedusa nel discorso del Principe di Salina al delegato del Re Chevalley.

Abbiamo avuto i greci, i romani, gli arabi, i normanni, i francesi, gli spagnoli, i napoletani e non ultimo i piemontesi che non sono stati di meno degli altri.

In parte giusta l’analisi di quanto avvenne durante il processo di unificazione della Sicilia all’Italia.

La Chiesa fu spogliata dei propri beni che non andarono ai siculi picciotti che speravano nella distribuzione delle terre ai braccianti e che invece furono vendute ai vecchi baroni che diventarono più ricchi affamando sempre più la povera gente con nuovi balzelli.

Nel libro si citano documenti terribili sulle condizioni di degrado delle popolazioni di Agrigento e provincia. Braccianti e zolfatari erano ridotti allo stremo e addirittura gli zolfatari vendevano i propri figli col sistema del “succursu muortu” ai picconieri.

I siciliani si ribellarono, si riunirono in fasci dei lavoratori, di cui parla, con un certo sarcasmo, Pirandello ne “I vecchi e i giovani”e Grotte divenne epicentro di questo movimento con il convegno regionale del 1893. Ci furono rivolte sanguinose, nacque la federterra, il Partito socialista dei lavoratori e la Chiesa, con Leone XIII pubblicò l’Enciclica “Rerum novarum” da cui ebbe inizio la corposa teoria sociale che si concretizzò in tante encicliche rivoluzionarie di cui ricordiamo la “Caritas in veritate” di Papa Ratznger e la “Laudato sii” che è assolutamente rivoluzionaria e su cui il mondo politico europeo deve fare una grande e attenta riflessione.

La Chiesa in quel periodo creò cooperative sociali, banche popolari, circoli di mutuo soccorso e in questa direzione si mossero alcuni socialisti tra cui Lorenzo Panepinto che fu ucciso dalle forze retrive del baronato.

Fu un periodo di grande fermento, dice padre Russo, che si interruppe con la guerra e con l’avvento del fascismo.

Inizia il periodo della ricostruzione che arriva ai nostri giorni e qui l’analisi del prete di frontiera è spietata.

Il potere sia a livello comunale che regionale e nazionale è appannaggio di alcune famiglie potentissime che si sono sostituite ai baroni e Agrigento è governata sempre dallo stesso partito.

La ricostruzione avviene senza regole, la devastazione del territorio diventa una costante,

la città rimane senza acqua, il centro storico abbandonato al proprio destino, fino ad arrivare alla frana del luglio 1966 che espulse dalla città i veri agrigentini dei rioni popolari per ghettizzarli a Villaseta.

Il popolo agrigentino ha subito tutto senza mai ribellarsi e si è chiuso nel personale cercando, ognuno, di risolvere il proprio problema.

La città restò senza un vero e proprio tessuto industriale e tutti sono andati in cerca del ‘posto’ che i vari deputati promettevano a destra e a manca. Agrigento restò una città di impiegati e di pensionati e Don Giuseppe ha paventato quello che oggi sta avvenendo. Egli ha affermato che se dovessero togliere la provincia Agrigento diventerebbe un paese come tanti e questo oggi sta avvenendo perché oltre a non essere più provincia chiude il Distretto militare, le poste, le ferrovie e le banche non hanno più uffici provinciali, la banca d’Italia non ha più nessun ruolo, la camera di commercio viene accorpata con altre province per cui ormai ad Agrigento restano solamente i templi che, come alcuni agrigentini, Don Giuseppe li incolpa di avere ostacolato lo sviluppo edilizio della città.

Invece i templi oggi sono l’unica ricchezza di questa città che vive di turismo diffuso che una serie di B e B che danno lavoro a tantissima gente. Abbiamo tutti investito i nostri risparmi nel mattone ma oggi che la città non è più provincia le nostre casew non hanno più valore.

L’analisi è molto dura e in parte l’autore non ha torto: gli impiegati non hanno il concetto del servizio e tengono il ‘posto’ come strumento di potere, i parlamentari lasciano incancrenire i problemi perché dal bisogno della gente traggono il consenso, gli uffici comunali sono al servizio dei potenti di turno e bisogna essere raccomandati anche per avere un certificato.

L’incuria e la corruzione consentono il prosperare dell’abusivismo che viene incentivato dai politici e dai burocrati, si perdono i finanziamenti regionali per il centro storico, si perdono tanti soldi di agenda 2000 e nel frattempo si chiudono le miniere, decadono i porti di Licata e Porto Empedocle, si chiudono le fabbriche di Porto Empedocle e muoiono tante altre attività come pastifici, mulini e così via. Agrigento e la provincia sono sempre le ultime nelle classifiche relative al reddito e al tenore di vita.

Il comune di Agrigento è pieno di impiegati ma la città è sempre sporca e il verde pubblico non curata. Molti espropri del dopo frana non si sono perfezionati e i terreni sono ritornati ai privati, tutte le strade di San Leone sono ancora accatastate ai privati, migliaia di pratiche di sanatoria attendono di essere esaminate da decenni.

Nelle strade pubbliche si può anche costruire. Esistono scivoli, gradoni, addirittura terrazzini o scalinate nelle strade pubbliche senza che nessuno muova un dito.

Una ragazza è morta per una buca ma noi siamo certi che qualcuno morirà sbattendo in questi manufatti che ingombrano le pubbliche strade.

Io devo pagare l’IMU per un pezzo di terreno che è strada pubblica e quando ho protestato che hanno costruito uno scivolo che ingombrava la strada pubblica per tre metri mi hanno preso per matto e il manufatto è rimasto allo stesso posto anche perché chi l’ha costruito è proprietario della strada.

Dette queste cose come dobbiamo reagire. Dobbiamo emigrare come tocca fare a tutti i giovani o bisogna alzare la testa per vedere di iniziare una rinascita.

Don Giuseppe Russo incita la città a svegliarsi “svegliati, risorgi, prendi coscienza delle tue risorse, reagisci, fatti valere, scrolla dalle tue spalle i pesi di cui sei oppressa”.

Fa un identikit del Sindaco che vorrebbe che sia un uomo affermato, che abbia coraggio di affrontare i poteri forti, che sia capace di rimuovere dagli uffici gli inetti, che abbia rispetto del denaro pubblico che sappia creare occasioni di lavoro e che combatta il precariato che con l’attuale Governo è diventato la regola e su cui Don Giuseppe si sofferma tantissimo.

Alcuni movimenti come Agrigento Punto e a Capo che sono stati duramente all’opposizione, hanno aperto un credito ai nuovi amministratori.

La città, seguendo il consiglio di Don Giuseppe Russo, ha fatto una scelta coraggiosa e ha votato con la speranza nel cuore, la speranza che si possa voltare pagina.

Il nuovo Sindaco si trova davanti una montagna di problemi,tra cui una situazione di pre dissesto finanziario e deve fare delle scelte prioritarie. Nessuno si aspetti miracoli perché i miracoli li fanno solamente i santi, per chi ci crede, e non li possono fare  né i politici nè i Sindaci che sono sul fronte di una guerra senza quartiere.

Senza sognare e senza farsi eccessive illusioni il popolo di Agrigento, la Chiesa,i movimenti si augurano che perlomeno si incominci un cammino che sarà lungo e faticoso.

Noi dobbiamo ringraziare padre Giuseppe Russo che con i suoi articoli e con il suo libro

ha posto sul tappeto il problema Agrigento e ha dato speranza agli agrigentini.

Agrigento, lì 8. 9. 2015-

gaspareagnello