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ALFONSINA CAMPISANO CANCEMI, L’ASSENZA – ILA PALMA

Io sono un ragazzo del sud

Un siciliano di paese,

uno dei tanti che ridono e piangono

in questa mia terra malata

d’amore e nostalgia

sono il ragazzo della zolfara

che mastica silenzio e pane nero,

il carrettiere che canta la notte

e pensa al tradimento

il pastore che insegue le nuvole

e suona lo zufolo ai venti

questo sono ed ho

il cuore triste di ognuno

dentro il mio cuore.

 

La mia gente

Non sogna e prega ancora

Per l’acqua e il sole

Un asino che muore

Qui si tira una casa.

Gentili signore e signori,

più che presentare l’ultima silloge poetica  “L’assenza” di Giuseppina Campisano Cancemi vorrei presentare tutta l’opera poetica della Campisano che all’inizio è stata molto influenzata dal grande poeta di Niscemi Mario Gori di cui ho letto alcuni versi struggenti che mi appartengono e nei quali mi identifico.

Ascoltate questa poesia  tratta dal primo libro della Campisano “Conchiglie di vento” e paragonatela a quella di Mario Gori:

Sono l’onda che bacia la rena

Lampada sulla scogliera

Viola sfiorata dal vento

 

Sono folle danza sfrenata

Lacrima sulla violenza

Intatto cristallo di rocca

 

Sono chiara luna

Miele sottile

Frenetico grido

Eco lontana

Trepida foglia

Arcobaleno

 

Questo io sono

 

E tu che mi respiri accanto

Non lo sai ancora.

E ancora dal secondo libro “Schegge e diademi”:

Chi ha inventato la notte del Sud?!

Con la malia del marranzano

Che canta di storie senza tempo

I gelsomini che teneri occhieggiano

Come piccole lunedì

E i rossi garofani  che s’aprono voluttuosi

Al bacio delle trepide stelle…

Chi ha inventato la notte del sud?!

Con le sue favole antiche

E gli olivi raccolti in preghiera

Il pianto del salice sulla terra riarsa

E le sinuose sirene che ammaliarono

Ulisse in catene sulla greca nave…

 

Chi ha inventato la notte del Sud?!

Coi suoi afrori e le sue chimere

La sua storia di soprusi e passioni

La favola di Colapesce

E i suoi invincibili eroi…

 

Chi ha inventato la notte del Sud?!

Con le bocche degli amanti

Che si cercano senza pudori

Al suono d’invisibili cetre

Giovani polle fra l’erba

Frammenti di zeffiri e uragani…

Oh non spegnerete la fiaccola

Inquieta  nel respiro del tempo!i

Non colpirà la falce

Le bianche pecore

Dei nostri azzurri pascoli!

 

Novelle Oreadi

Ubriache di luna e di senso

Canteremo ancora e ancora

Intrecciando carole

Nella magica notte del Sud!

Si sente ancora l’influenza di Mario Gori ma la nostra poetessa ormai vola per conto proprio negli spazi immensi di Calliope e lo fa con molta discrezione e con profondo rispetto dell’arte del poetare a cui oggi si approcciano tantissime persone senza averne gli strumenti spirituali e anche culturali perché la poesia richiede competenza e preparazione all’arte del verso, alla metrica e alla musicalità che non può e non deve mancare. Quello che colpisce appunto nella poesia della Campisano è appunto il ritmo del verso e la sua alta musicalità.

Gaetano Vincenzo Vicari nella prefazione alla terza silloge della nostra poetesse scrive a tal proposito:

“La poesia di Alfonsina Campisano si annida tra gli spazi delle parole, nel loro reciproco conflitto lessicale, nel loro choc biunivoco, nella musica che esse creano senza rima e senza ritmo imposto. Non conta ciò che dico, -sembra precisare il testo,- conta come lo dico; l’essenziale è ciò che non è detto, ma che appare oltre il testo: il suo messaggio simbolico”

E ancora Vicari scrive:

“Alfonsina Campisano Cancemi è una poetessa. La sua poesia smuove le vie del cuore, ritma il respiro della vita e la sua parola poetica è capace di dare l’impressione che le montagne possono essere spostate e i fiumi deviati. Le parole fanno rivivere la dimensione spirituale e umana della poetessa, ricca di eticità, di fantasia, di meditazione. Lei ci suggerisc e che è “necessario leggere ogni parola dentro di noi”, poiché la poesia richiede  al lettore una partecipazione interessata, una disposizione alla lettura, utile a metabolizzare le pagine, costruite con simboli e con specifici riferimenti e allusioni alla condizione dell’uomo d’oggi”.

Pur vendo queste grandi doti poetiche, abbiamo detto che la Campisano si approccia alla poesia con grande rispetto e discrezione e infatti le sue pubblicazioni importanti sono poche ma di alto livello..

La prima silloge poetica è “Conchiglie al vento” del 1986,la seconda è “Schegge e Diademi” del 2009 e quindi un lungo silenzio, forse dovuto ai suoi drammi personali che hanno fatto tacere la sua cetra.

La morte del marito ha creato nel cuore della nostra scrittrice un vuoto esistenziale che non le consentiva di cantare, però, a mio avviso, nel suo cuore covava un fuoco  che non poteva essere spento e che, come un fiume carsico, è uscito allo scoperto in una notte di follia o di sublimazione.

Ed ecco i versi dell’ultima raccolta poetica “L’assenza” che oggi viene presentata a questo meraviglioso pubblico agrigentino.

In questa silloge c’è tutta la poetessa con i suoi drammi, le sue passioni, la morte e la speranza, la croce e la resurrezione, il tutto espresso con “segmenti di parole che giungono da orizzonti lontani…” da una cultura profonda che fa riferimento ai poeti francesi, a Leopardi, a Bufalino e, come detto, a Mario Gori.

La cornice è costituita dalle stagioni che diventano metafore dei sentimenti, dal vento, dalla luna Leopardiana, dai colori che sono simbolici, dai silenzi, i lunghi silenzi di Leonardo Sciascia, la notte, l’oscurità che sono premessa della luce che è speranza:

Sulla banchisa

Fra zattere di ghiaccio

E artiche solitudini

Un veliero sperduto

Muto come il mio cuore

Scheggiato dall’ASSENZA

 

Dal mitico Oriente

Si leverà ancora il sole

Prodigio e cuore

Sulla terra genuflessa

Passaporto e viatico

Per l’Occaso che arranca.

Vorrei gettare un fiore

Non posso annullare la notte

Che mi avvolge come un sudario

Ne spegnere la sete

Che mi lievita dentro

 

Profonda s’è fatta la ruga

Che mi scavava il viso

E l’arsura dell’ASSENZA

Ha spezzato la speranza

 

Vorrei gettare un fiore

Al di là della cascata

E attendere un’eco

Che non ci sarà

 

Vorrei che dal profondo

Sorgesse vergine un’onda

A ricordare il tuo cuore fanciullo

E il tuo sorriso, amore.

SOLA

Nell’assurda geometria dei giorni

Trema l’ultima foglia

Percorsa da un brivido

Oscilla desolata

 

0ndeggia nella bruma autunnale

Gravida di memorie

S’inarca in un ultimo anelito

Pare danzare…

Cade

E non ci sono cantici

A  consolare.

ANDRAI

Andrai

Su sentieri muschiati

Col cuore sventrato e gemente

Mio povero amore

 

In una bolla di sapone

La mia carezza

Povera lacrima

Sull’insopportabile nulla

In attesa dell’alba.

Ecco la poetessa è in attesa dell’alba. Chi scrive deve sperare e lo stesso fatto di scrivere vuol dire che

alla notte seguirà il giorno: è una legge della natura che nessuno può cambiare. Un giorno ho rimproverato a Sciascia il suo pessimismo e lui candidamente mi rispose che se scrivo vuol dire che credo in qualche cosa.

Se in una lunga notte la nostra scrittrice è uscita dal torpore e si è messa a scrivere è certo che alla fine la speranza doveva trionfare e infatti ecco la poesia

SPERANZA

Ho lasciato

Sullo scoglio salato

Vuote conchiglie

 

E il vento

Mi ha portato lontano

Negli abissi del Cielo

Fra girandole di stelle

E perle iridescenti.

UN FILO

Ho ricucito

Lo specchio frantumato

E il suo riflesso

Colorò la mia sera.

IO VIVO

La goccia

Ha penetrato il mare

L’anima ha gridato

Il suo dolore

 

Io vivo.

SOGNO                                     (poesia in cui si riconosce Bufalino)

Si baciano i ragazzi

Ancora come ieri

Lampi di fuoco

Infiammano le carni

Anche se di piombo è il mare

E sul cemento

Sa di sale la voce del vento.

SCIVOLA IL TEMPO

Si piegano vergini rami

Sul giovane amore

 

Scivola il tempo

Fra polvere e risa

Sorridono ancora le foglie

Al bacio della luna.

IN UNA GOCCIA

Talora

Penso di migrare

Verso l’ultimo approdo

 

Ma la vita

In una goccia sola

Grida Alleluja!.

Sul buio prevale la luce, alla notte segue il giorno, sulla morte trionfa la vita e la nostra poetessa, assieme a me con il carico dei suoi anni grida ALLELUJA, VIVA LA VITA CHE VALE LA PENA DI ESSERE VISSUTA.

Agrigento, lì 20. 11. 2015

Gaspare Agnello