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SILVANO MESSINA

CRONACHE DELLA DERIVA

Armando Siciliano Editore

Silvano Messina, medico di professione e scrittore per vocazione e a tempo perso (o guadagnato) pubblica la sua seconda opera letteraria “Cronache della deriva” , dopo avere pubblicato il romanzo “L’ultima matriarca” che noi non abbiamo letto e che quindi non possiamo giudicare.

Messina ci ha chiesto di recensire  il suo libro e di presentarlo al pubblico.

Cosa non facile perché in questi casi bisogna assolutamente parlare bene dell’opera anche se questa non dovesse avere valore letterario. Per questo affermiamo che il lavoro del critico è spesso molto difficile perché è costretto a non essere onesto fino in fondo ed infatti le critiche letterarie oneste e veritiere sono pochissime. Nelle terze pagine dei quotidiani si leggono tantissime recensioni di libri di nuova pubblicazione e tutte o quasi sono recensioni di comparaggio di cui non bisogna fidarsi.

Noi però recensiamo per diporto e cercheremo di essere onesti e di non ingannare il lettore.

Tornando al lavoro di Silvano Messina “Cronache della deriva” dobbiamo subito dire che le pagine iniziali sono state dure perché sapevano di cronaca giornalistica e non di racconto letterario e poi ci ha riportato a un fatto di cronaca accaduto a Racalmuto e raccontatoci da Leonardo Sciascia: Si era nel 10 giugno 1940 e un gruppetto di persone ascoltava nella piazza di Racalmuto “lu comunicatu” che trasmetteva la dichiarazione di guerra del Duce. Si sentivano gli applausi entusiastici della folla di Piazza Venezia e l’entusiasmo dei fascisti che pensavano di potere conquistare il mondo con una guerra lampo. C’erano nella piazza due amici di cui uno cieco il quale ultimo ebbe a dire al suo compagno: cu tuttu ca sugno uorbu la via nivura.

Ora ci pare che lo scrittore Messina, pur non essendo cieco “la vidi nivura” e coglie i fatti terribilmente negativi della nostra società che attraversa un grave momento di crisi ma che non credo sia alla “DERIVA”.

Certamente l’uomo che Dio ha creato è contaminato dal peccato originale che lo ha ammalorato e questo lo sostiene papa Ratzinger nella enciclica “Caritas in veritrate” in cui afferma alcuni valori socialisteggianti di una nuova economia etica che però trovano ostacoli insormontabili nella loro realizzazione appunto nella cattiveria innata dell’uomo derivante  dal peccato originale.

Ma non è solo questo. L’autore infatti nella introduzione al libro parla della decadenza dei valori su cui si fondava la società che sono i valori della famiglia, della religione, il depotenziamento delle leggi, lo svilimento di ogni autorità e l’affermarsi del RELATIVISMO, del DUBBIO, dello SCETTICISMO.

Il relativismo, il dubbio non sempre sono valori negativi anzi molto spesso possono essere stimoli di ricerca e di nuovi valori che si contrappongono a quelli vecchi che non soddisfano più e che spesso sono diventati strumenti di potere o di oppressione come avviene per certe forme di religiosità che sono la causa di tanti disastri nel mondo. Tutte le religioni, nei secoli, si sono lasciate dietro montagne di morti e non bastano le scuse continue a sanare ferite non rimarginabili.

C’è stato nel mondo il ’68 che, con tutti i fatti negativi che ogni movimento rivoluzionario porta con sé, ha buttato alle ortiche vecchie concezioni della nostra società per affermarne altri nuovi.

Purtroppo il DEGRADO di cui parla il nostro autore nasce da fattori economici che, in base alle teorie del materialismo storico di stampo marxisista, connota tutta la nostra vita.

Qui il discorso si farebbe lungo e molto opinabile perché la nostra religione afferma che il mondo è mosso dalla Divina Provvidenza, mentre Marx dice che il mondo è mosso dall’economia.

Sarà stata matrigna la provvidenza nell’ultimo secolo o sono cambiati i parametri economici ma certamente la società è andata verso un “DERIVA” morale ed economica che l’Autore del nostro libro esamina con molta dovizia di particolari e con una analisi sociologica di tutto rispetto che denota una formazione culturale di grande spessore.

I fatti narrati sono terribili e certamente tratti da fatti di cronaca realmente accaduti che sono  raccontati “al fine”di dimostrare “la deriva”.

Nel primo capitolo che, in omaggio a Sciascia, si intitola ‘Il mare colore del vino’, si narra la storia del povero Alfio che viene licenziato, e che quindi perde l’amore della moglie, che viene ingiustamente accusato di molestie nei confronti della figlia e che è costretto ad annegare nel mare colore del vino.

Nel secondo racconto ‘La pesca’ ci troviamo dinanzi a un capitano di marina senza cuore che pensa solamente al suo guadagno, a un rapporto meramente erotico con la moglie che consuma via telefono, che si rifiuta di soccorrere un’imbarcazione di emigranti che affonda nel Mediterraneo e che, per la legge del contrapasso, pesca un cadavere, probabilmente di un uomo che non ha voluto salvare. Non vuole onorare il cadavere che rigetta in mare e poi è lui a essere  buttato a mare dai suoi collaboratori per fare la fine dei clandestini che non ha voluto salvare. Salvatore, il comandante, certamente non ha un cuore ma i suoi marinai credono nei valori della solidarietà umana e si vendicano del loro carnefice buttandolo in acqua.

Da questo particolare si capisce che il cielo a mezzanotte poi non è così buio.

La storia del terzo racconto “In nome del padre” sembra assurda e quasi irreale in quanto ci troviamo in presenza di un figlio che, con il sudore del padre, diventa ingegnere e si afferma nel mondo del lavoro.

L’ingegnere dimentica il padre, gli vende la casa dove ha vissuto per tutta la vita e lo fa morire abbandonato in una corsia d’ospedale dove il personale sanitario lo tiene ricoverato per spirito di carità in barba alle norme sanitarie che lo vorrebbero dimesso e lasciato in mezzo alla strada. Anche qui emerge un tratto di buona umanità.

Il quarto racconto ci narra la storia di una ragazzina che, ancora minorenne, si concede all’amico di famiglia per avere l’Iphone 5.

Nel quinto racconto “La rassegnata”, Messina ci narra la storia di Aurora che si laurea a Napoli, che non riesce a trovare lavoro, che ancora crede nei valori della sinistra, che riesce a trovare una degna occupazione nella città della scienza a Napoli, lavoro che perde a seguito dell’incendio, certamente doloso, della meravigliosa e utile struttura napoletana.

Aurora, con il suo ragazzo, si ritira in campagna e ritorna alla vita bucolica e autarchica della civiltà contadina. Forse è la decrescita felice di cui parla l’autore.

“Il branco” e “La strage”, gli ultimi due racconti sono veramente terribili e indicativi di una società gravemente ammalata.

Nel primo ci troviamo in presenza di un gruppo di bulli che hanno la protezione dei loro genitori, tutti personaggi importanti o della politica, o della finanza , o della magistratura che operano in collusione con il potere mafioso e che riescono a coprire le malefatte dei figli che arrivano all’assurdo di uno stupro di gruppo che si conclude con la morte di una ragazza di tredici anni; nel secondo ancora una volta un disoccupato, Antonio che, stanco di fare il mantenuto, lascia la famiglia e va verso il Nord in cerca di lavoro.

Incontra il degrado, gli ultimi della società, diventa paladino dei reietti e, deluso dalla vecchia sinistra, abbraccia le idee del Partito Populista.

Antonio acquista notorietà e viene chiamato alla trasmissione di Santoro dove afferma: “Non accetto i rimedi proposti dai politici italiani, perché non mi sento rappresentato da loro. La politica è ormai lontana dai bisogni dei cittadini. Io sono di sinistra da generazioni. Il vecchio Partito Comunista, la CGIL portavano avanti le istanze dei lavoratori. Oggi il PD, la CGIL ed altri sindacati dove sono?”

Antonio si affida al Partito Populista, viene trascinato a una manifestazione a Roma, ancora delusioni da parte dei populisti, quindi il tentativo rivoluzionario, per il quale non ci sono le premesse, che si conclude con la morte  del povero Antonio.

Nel corso di questi racconti il ritmo della prosa si fa più incalzante e l’autore ci offre spunti sociologici che fanno riferimento a tanti pensatori dell’era contemporanea che possono o meno essere condivisi.

C’è un incitamento all’indignazione con il vecchio partigiano Hassel, che con il suo libriccino di poche pagine, ha dato vita a grossi movimenti di opinione in tutta Europa, c’è la teoria delle decrescita felice propagandata da Stiglitz, che non può mai essere felice in quanto comporta rinunce e si materializza solamente a danno dei più deboli.

L’autore presume che i nostri problemi sono iniziati negli anni 80 con l’esaurimento del Fordismo e la crisi del governo Keynesiano dell’economia e la finanziarizzazione dell’economia, con la benedizione di Margareth Thatcher e Ronald Regan.

L’esasperazione del liberismo sfrenato, dice l’autore, ha portato al declino della politica industriale, alla perdita di posti di lavoro, alla delocalizzazione.

E la classe operaia che, grazie alle lotte sociali, era veramente andata “in paradiso” si è fatta abbindolare dalla propaganda di regime ed è andata lentamente verso la deriva e la disumanizzazione della nostra società che ha prodotto i fatti di cui parla l’autore. Il 1992 è stato l’anno del sovvertimento con la fine del vecchio sistema politico a cui si è sostituito il concetto di profitto mettendo al centro  del sistema economico e politico non l’uomo ma il BUDGET.

L’analisi della crisi è molto puntuale e complessa  ma sempre problematica perché ognuno esprime le proprie idee che non tutti possono condividere in quanto ogni individuo vede i problemi dal suo punto di vista.

Il libro ha la capacità di suscitare il dibattito e questo è quanto basta. Ognuno poi può e deve riflettere per conto proprio e trarre le sue conclusioni.

Però non c’è dubbio che la crisi economica, il liberismo sfrenato, l’esaltazione del DIO BUDGET, l’emarginazione dei valori umani nel ciclo produttivo, hanno portato alla deriva.

Questo però non può significare che la speranza sia morta.

Sciascia che era un pessimista ci diceva che per il solo fatto di scrivere vuoleva dire che credeva in qualche cosa e noi che scriviamo abbiamo il dovere di credere in un futuro migliore.

Non a caso l’Autore dedica un capitolo “La ricerca dello spirito”, alla ricerca di Dio e quindi ai valori fondanti della società umana. In questo capitolo appare con tutta evidenza il dramma personale dell’Autore che cerca  Dio e che in fondo è il dramma di tutti gli uomini che, se non lo hanno trovato, se non hanno il dono della fede, sono alla ricerca dell’Assoluto, del primo motore dell’universo, del senso o non senso della nostra vita. L’ANALISI DEL PROBLEMA DA PARTE DELL’Autore è molto complessa e problematica ed evidenza uno studio approfondito e una vasta conoscenza di autori che hanno dibattuto la questione dell’esistenza di Dio e soprattutto del teologo laico Vito Mancuso che riesce a dare risposte al di fuori dell’ortodossia ecclesiastica che ha sue esigenze di organizzazione, di potere, di conversioni.

L’uomo, nei momenti brutti della sua vita e quando si trova nell’impossibilità di risolvere i suoi problemi, ha bisogno di rivolgersi a una entità superiore per cercare aiuto. Tahar Ben Jelloun nel suo libro “Amori stregati” sostiene che dove non arriva la scienza che non può certamente spiegare tutte le cose del mondo, si inserisce la magia o la religione. E un grande matematico, candidato al nobel, dinanzi ad alcuni fenomeni strani e inspiegabili della sua vita, cerca riparo nella religione.

Ettore, professore universitario di Fisica, che sostiene che la ricerca scientifica non deve  conoscere nessun ostacolo, si trova in un letto di ospedale a seguito di un incidente ed è sottoposto a una delicata operazione chirurgica al cervello.

E’ assolutamente impotente e, dinanzi a un santino di Padre Pio, viene colpito, come San Paolo sulla via di Damasco. Ma sembra strano che Damasco possa trovarsi a Pietralcina, infatti l’autore aggiusta subito il tiro e si rende conto della commercializzazione di fatti religiosi che nulla hanno a che fare con il divino.

Lascia tutte le preghiere ufficiali e si rivolge direttamente a Dio così dicendo:

“Signore, tu che puoi tutto, tu che puoi sovvertire le leggi della fisica, tu che sei più forte della Superforza, più forte della Gravitazione Quantistica a Loop che può esitare in una singolarità, capace anche di dare origine a un altro universo, oltre che a un buco nero, non devi fare un grande sforzo per positivizzare una debole pressione negativa in positiva; tu puoi farlo; tu puoi fermare il mio processo emorragico intracranico. Riconosco la tua potenza, Signore, come ti chiedo perdono per avere dubitato della tua esistenza e di essermi quasi paragonato a te. Hai ragione di punire la mia superbia e il mio ardire; ma io mi affido alla tua immensa misericordia e alla tua infinita potenza. Aiutami, ti prego”. Questo atteggiamento dello scienziato ci riporta alle teorie del filosofo Fuerbach il quale asserisce che non è Dio che ha creato l’uomo ma l’uomo che ha creato Dio nel momento del bisogno.

Ad ogni buon fine il fisico Ettore, mentre vede che la vita gli sfugge, pensa che la vita non è solo scienza e che è “troppo bella perché possa essere estinta con una semplice chiusura di palpebre. Più ci si avvicina a quel fatidico momento, più numerose si fanno le domande che ognuno si pone: esiste il nulla? Da dove viene l’universo e a che scopo? Cosa è il bene e cosa è il male? A che scopo siamo sulla terra? Che cosa ci sostiene nella nostra infinitezza? Possibile che la morte renda insensata una vita? Esiste l’anima? E se sì, è veramente immortale o si estingue con il corpo? Esiste cosa oltre la vita?”

Dunque, dice Ettore, la Religione nasce dall’impossibilità di dare un senso alla vita che appare all’uomo per la sua evoluzione, dalla nascita alla morte, come un mistero.

E lo scienziato, con il filosofo Ludwig Wittgenstein, afferma che credere in Dio vuol dire comprendere la questione del senso della vita…credere in Dio vuol dire che la vita ha un senso.

Il Dio, secondo San Tommaso d’Aquino  è“il primo motore, la prima causa, il primo necessario, la prima perfezione”.

In ogni caso il professore, a prescindere dalle dimostrazioni filosofiche si rifugia nella bellezza del creato (Pag.134-138-140 ) e in Francesco D’Assisi che con la sua vita ha dato al mondo un grande esempio di amore e di fraternità .

Il nostro autore è riuscito a trovare Dio? Probabilmente si. Noi abbiamo scritto un articolo su “Il Dio di Sciascia” e ci siamo convinti che Sciascia, per il fatto di averlo cercato, lo abbia trovato. (www.gaspareagnello.it)

Noi personalmente siamo non credenti ma amiamo Francesco che con la sua semplicità ha rivalutato il concetto di Dio e di religiosità.

Chi cerca Dio, chi lo trova, ha sicuramente speranza e fede nell’uomo e certamente è capace di sconfiggere la deriva facendo trionfare l’Amore e la Giustizia a cui l’Autore di questo libro fa riferimento.

E allora quale è il senso di questa opera di Silvano Messina? E’ un’opera di un neofita molto colto, che  è capace di suscitare dibattito su questioni importanti della vita e riflessioni sull’essere dell’uomo.

In un momento di disattenzione, di smarrimento è necessario riflettere per mettere al centro del creato l’uomo che è la più importante creatura di Dio visto che lo ha creato a sua immagine e somiglianza.

Chiuppano, lì 18.8.2015

www.gaspareagnello.it