Era il lontano otto ottobre del 1994 e nelle pagine del Corriere della Sera abbiamo letto un articolo di Monica Zumino nel quale si parlava di “Una valigia di poesie” lasciata in eredità da un barbone di Genova.
Abbiamo appreso che un vecchio clochard, Bernardo Quaranta, che per più di trenta anni ha vagato lungo le strade della Val Polcevera , morendo ha lasciato una valigia piena di poesie scritte su pezzi di carta trovati per la strada o in mezzo alla immondizia.
Bernardo Quaranta, chiamato Bacci ed anche “Trinca”, ha vagato lungo le strade di Genova, ha dormito sotto i ponti, nelle panchine delle ville o alla stazione ferroviaria e l’unico suo bagaglio era una vecchia valigia che portava sempre con se e da cui non si distaccava mai.
Bacci non ha mai disturbato nessuno, la sua unica compagnia era un bicchiere di vino che beveva nelle bettole genoane e che pagava regolarmente:
“Vino,amico vino,
non ti importa
se puzzo
se sono povero
se sono un barbone
mi capisci
mi consoli
mi doni l’oblio.
Così visse la sua vita di clochard sotto le stelle, e le intemperie fino a 74 anni:
Piove,io cammino
e le nuvole
rovesciano su di me
secchi colmi di tristezza.
Io cammino,
guardo il cielo
e cerco il sole
ma piove ancora.
Perché?
Foglio di carta
Foglio di carta di pane
ti darò fuoco
per farmi caldo
o mi riscalderò
col fuoco della poesia?
NATALE
Le strade sono piene
Le luci sono ferme
La gente ha fretta.
Io sono fuori,
ho tanto tempo
e niente da comprare.
Sto fermo come le luci
Il Barbone Bernardo Quaranta venne ricoverato all’ospedale di San Martino di Genova dove morì lasciando la sua valigia che non si sapeva a chi affidare.
Si seppe che aveva una lontana parente, Giuseppina Bianchi, che fu rintracciata.
Giuseppina Bianchi dichiarò che non vedeva il cugino da più di 50 anni e cioè da quando partì per la guerra in Africa.
Guerra
La guerra è nera
E buia e fredda
Sulle montagne
Le notti erano nere
E buie e fredde
Io e i miei compagni
Scappavamo e sparavamo.
Qualcuno non ha visto l’alba
E la luce del sole.
Prandi , Memo Franchino
La guerra è nera.
Le venne affidata la valigia che risultò essere piena di poesie scritte su pezzi di carta trovati nella strada, di ritagli di giornali, di antologie e di qualche pagina di libri di filosofia.
La valigia e quindi le poesie vennero affidate al circolo di poeti genovesi i “Viaggiatori del tempo” che, entusiasti dalla bellezza dei componimenti, ne hanno curato la pubblicazione con l’impegno di impiegare le somme ricavate dalla vendita del libro in beneficenza a favore dei barboni di Genova.
I viaggiatori del tempo non vollero conoscere chi fosse Bernardo Quaranta, vollero rispettare la sua scelta di vita di barbone e non indagarono sulla sua personalità per cui quello che possiamo sapere di Bernardo Quaranta è la data di nascita 1920 e la data ed il luogo della morte 1994 Genova ospedale San Martino, cose che abbiamo appreso dai ritagli della stampa locale. Tutto il resto lo dobbiamo desumere dalle sue poesie che ci hanno stregato letteralmente perchè mai abbiamo letto componimenti poetici così belli, così semplici, così profondi, così umani, così sereni e religiosi, così pieni di amore, amore per la sua donna, amore per la vita, amore per la bellezza della natura, disprezzo per la guerra.
Oggi tutti ci siamo abituati a bere acqua imbottigliata e abbiamo perso la buona abitudine di bere la semplice acqua che scaturisce dalle sorgenti e che è ricca di tutto quanto ha bisogno il nostro corpo per vivere in armonia.
Le poche volte che andiamo nelle montagne ci fermiamo a bere alle poche sorgenti esistenti di acqua e proviamo un gusto ed una gioia di bere che abbiamo dimenticato.
Così avviene oggi per la poesia. Ci siamo abituati a forme poetiche molto elaborate che dobbiamo fare fatica a comprendere e abbiamo dimenticato il gusto della poesia semplice, schietta, che viene dal cuore ed arriva subito al cuore senza passare dal cervello, che ci parla dei sentimenti semplici e belli della gente comune.
Bernardo Quaranta con i suoi componimenti brevi, incisivi, sublimi, ci riporta all’acqua di fonte e disseta il nostro bisogno di poesia.
Soddisfa il bisogno di poesia dell’uomo di cui ci dice Tahar Ben Jelloun nel suo libro “Amori stregati”:
…Io non ho bisogno di denaro. Ho bisogno di sentimenti, di parole, di parole scelte sapientemente, di fiori detti pensieri, di rose dette presenze, di sogni che abitano gli alberi, di canzoni che facciano danzare le statue, di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti…Ho bisogno di poesia, questa magia che brucia la pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà loro colori nuovi. Le parole scelgono combinazioni inattese e ci procurano l’ebbrezza e la gioia, trasportandoci in luoghi dimenticati dagli uomini. Ecco, mio caro, ciò di cui ho bisogno”
Ecco ciò di cui abbiamo bisogno aggiungiamo noi e questo ha saputo donarci un clochard di cui nulla sappiamo e di cui nulla vogliamo sapere
Nessuno di noi può vivere senza poesia e tanto meno Bernardo Quaranta che nel dramma della sua solitudine trovava nella poesia la forza di vivere e di raccontare al mondo i suoi sentimenti.
Cosa è la poesia ? E’ l’esprimersi attraverso i versi e quindi con la metrica ? Può anche essere. Ma la poesia è “L’elevatezza e nobiltà dei concetti, l’intensità del sentimento, la forza delle parole, e soprattutto la capacità di commuovere, di parlare all’animo, di esaltare la fantasia”.
Nell’estetica crociana la poesia è intesa sempre in senso positivo come espressione pienamente raggiunta del bello artistico, intendendo che l’espressione è tutt’uno con l’intuizione lirica che si può raggiungere con i versi, con la pittura, o con altre forme artistiche che non debbono essere per forza i versi.
Nel caso di Bernardo Quaranta la poesia si raggiunge attraverso versi semplici e limpidi come acqua di sorgente e attraverso i versi Quaranta ci comunica il suo mondo:
Ho un libro
Di poesie
Di quando avevo
Vent’anni.
Lo uso per metterci dentro
Le mie frasi.
Sono anch’io un poeta.
Un poeta barbone.
Ed ancora:
Mi chiamo Bacci,
Bernardo Quaranta,
Il barbone,
Il senza casa,
Il mendicante,
Il poeta…
…che si riscalda col fuoco della poesia, mentre piove e le nuvole gli rovesciano “secchi colmi di tristezza”.
Bernardo Quaranta riconosce la sua miseria e la sua tristezza. Ma il riconoscersi misero prova la sua grandezza. Dice Pascal: “ La grandezza dell’uomo è grande in ciò che egli si conosce miserabile”. Perché Bernardo, anche se mostra di rimpiangere il suo passato, accetta la sua miseria, quando dice:
Faccio sogni brutti
vivo senza sogni.
Sogno di vivere
una vita bella.
Vivo una vita brutta.
La tristezza non lo porta alla disperazione ma lo porta verso Dio che una mattina gli fa trovare
La Chiesa completamente vuota perchè forse Dio voleva parlare solo a Lui:
Sono andato in una chiesa vuota
Stamattina
Il sole entrava
Da una finestrina
Con i disegni santi
Non c’era nessuno
Forse Dio Voleva parlare
Solo a me.
E la fede e la serenità gli fa dire:
Vorrei pregare ma non sono
Capace di farlo
Dio aiutami, mi sento peccatore
Però ti voglio bene
E so che tu mi perdoni
Le campane suonano a festa
E nel mio cuore io ti sento
Grazie, mio Dio.
Gli uomini hanno forse dimenticato il senso della vita e vivono chiusi nel loro egoismo senza guardare al vicino di casa che muore, al passante che soffre la fame ed il freddo, al povero che non può festeggiare il Natale, forse perché hanno fretta e corrono verso chissà quali ricchezze del mondo.
Il Natale ha perso il suo significato e tutti corrono per gli acquisti, per consumare mentre Bacci sta fuori, sotto le luci e sta fermo come le luci, perché non ha niente da comprare e niente da regalare.
Pensa a mamma e papà che non ci sono più.
Anche Giannina non c’è più.
E’ morta.
Giannina è una amica di sventura del povero Bacci ma era il suo amore, la sua ragion d’essere.
La vita senza l’amore non ha senso.
L’amore di una donna ci sorregge e ci sostiene e dà senso alla nostra vita.
Giannina è la sublimazione della vita, è il dono di Dio e tutto nel suo nome diventa sogno, bellezza, candore:
“Giannina
ti ho sognato
Giannina
Eri vestita di bianco
Giannina
Mi sorridevi come quel giorno
Giannina
Sei ancora viva?
Ti cerco dormendo
Ti sogno cercando.
Non odiarmi perché ti ho lasciata
Non volermi più male
Perché Dio sta già castigandomi.
Per te ho perso anche la voglia di vivere.
Giannina, Giannina
Urlo il tuo nome
E il vento me lo riporta indietro….
….Giannina bella
occhi di fata,
cuore di strega.
Ti desidero.
Ti voglio.
Ti amo.
Perché non sei con me?…
…Se tu Giannina
fossi con me
in questa spiaggia
i gabbiani
verrebbero qui
a salutarti
Poi aprirebbero le ali
Per fare nel cielo
Il tuo nome
Giannina.Quanti gabbiani
per fare il tuo nome?
La delicatezza di questi versi non ha bisogno di alcun commento perché ogni parola in più guasterebbe il sogno in cui riescono a trasportare il lettore.
Dopo le lettere del carcere di Antonio Gramsci, solamente i versi drammatici ed altamente lirici di Bernardo Quaranta hanno fatto scendere qualche lacrima dai nostri occhi abituati ormai a vedere tante nefandezze di questa drammatica vita che ormai ognuno di noi vive sotto la tremenda regola dell’Homo omini lupus.
Ma Bernardo Quaranta ha abbandonato le frivolezze di questo mondo per vivere nel mondo dell’amore di Giannina, nel dialogo diretto e non mediato con Dio, il suo Dio, quello che non vuole prendere nel mistero della comunione perchè ha troppa fame e quindi lo mangerebbe, nel rapporto con la natura: le stelle, i gabbiani, il mare che gli sputa in faccia, con l’amico vino che non è vizio ma dimenticanza e quindi sogno.
Come fa Bernardo Quaranta a raggiungere queste vette di lirismo e di sentimenti ? Cosa c’è dietro queste liriche, qual’è l’entroterra di quest’uomo? Abbiamo detto che nessuno lo sa ed è meglio così, finchè qualcuno non vorrà indagare più a fondo.
Ma noi che abbiamo visto materialmente la valigia di Bernardo Quaranta, le poesie scritte su un cartone dove c’era scritto nel retro “mele a £ 2000”, che abbiamo visto la poesia di Natale scritta dietro una carta per avvolgere i regali di Natale, possiamo dire che siamo stati colpiti da una pagina di un libro di filosofia che si trovava nella valigia e che portava sottolineati passi che parlavano della Critica della ragion pura di Kant.
Questo è sintomatico e ci dice che dietro il barbone ci doveva esser un uomo che doveva avere una buona base culturale ed un sentire non comune.
Noi oggi vogliamo ripubblicare le poesie di Bernardo Quaranta per farle conoscere a tutti i nostri amici per far provare a loro le dolci e belle sensazioni che abbiamo provato noi e per regalare petali di musica a quanti ci stanno vicini.
Il libro verrà regalato dietro una offerta libera il cui ricavato sarà devoluto alla mensa della solidarietà di Agrigento che assiste tanti clochard e tante persone bisognose con una colazione ed un pasto caldo a pranzo.
Tutto questo è possibile grazie alla sensibilità della TIPOGRAFIA ARCIGRAF DI ARCIDIACONO DI AGRIGENTO CHE CI HA STAMPATO GRATUITAMENTE IL VOLUME.
Agrigento, lì 21.3.2005 giornata mondiale della poesia
Gaspare Agnello
gaspareagnello@virgilio.it