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Domenico Alvise Galletto è un uomo modesto, un poeta, un teatrante che vive appartato nella sua Raffadali in provincia di Agrigento dove elabora la sua grande arte attingendo ai luoghi, ai costumi, alle tradizioni, al dolore e alla gioia di una terra antica e martoriata e, facendo della sua terra, per dirla con Sciascia, metafora del mondo.

I suo libri di poesia sono:

  • Aria di prima matina con prefazione di Andrea Camilleri,
  • Lu ncantu e la palora con prefazione di Salvatore Di Marco,
  • Li rradici di l’arma con prefazione di Salvatore Di Marco,
  • Lustrura d’acqua con prefazione del prete poeta Domenico Cufaro
  • Un tirribbuli viaggiu con prefazione dello storico agrigentino Settimio Biondi.

Per il teatro ha scritto:

La tedesca, L’occhiu di la genti, U piaciri di muriri, Una storia contadina, Rosa di Nora, Prova generale, Aspittamu dumani, Quannu si voli bene, Nenè e per ultimo ha raccolto alcuni profili femminili delle sue opere e ha messo in scena, al Parco Archeologico della Valle dei Templi di Agrigento, “Li fimmini nostri” con la sua compagnia “Piccolo Teatro città di Raffadali” che opera da diversi anni con successi strepitosi.

Il poeta di Raffadali Caliddu Mangione scrisse:

Pi lu teatru di Mimu Gallettu

Si susinu i malati di lu lettu.

Galletto è uno studioso del dialetto siciliano e specificatamente del dialetto di Raffadali e scrive in dialetto non perché non sappia scrivere in italiano ma perché con il dialetto può meglio esprimere i suoi sentimenti.

Il suo conterraneo Alessio Di Giovanni, a proposito del suo romanzo “La Racina di Santant’Antonio”, ebbe a scrivere. “Comprenderanno senz’altro perché ho scritto anche questo romanzo in siciliano: non perché non ami e non conosca e non apprezzi la nostra gloriosa lingua nazionale ( che, da quarant’anni a questa parte, studio con sempre vivo, appassionato amore), ma per un istintivo, irresistibile bisogno di rendere l’intima anima della mia terra, con quella semplicità spontanea e con quella sicura immediatezza che si possono ottenere interamente adoperando il vermiglio linguaggio dell’isola, perché soltanto con il suo corrusco fiammeggiare e con la sua armonia accorata, si può dare un’impronta schiettamente paesana alla narrazione e infonderle, come direbbero i miei fratelli felibri, quel particolare profumo  du terroir, che, per rimanere in Provenza, si trova come sbiadito e svanito nelle pagine, deliziose sempre, ma agghindate un po’ troppo alla parigina di Alfonso Daudet, di Jean Aicard, di Lous Bertrand…”

Camilleri nella prefazione alla silloge “Aria di prima matina”, rifacendosi a Pirandello, afferma “che una parola in lingua rappresenta il concetto delle cose mentre la stessa identica parola in dialetto si configura come un linguaggio emotivo da contrapporre ad un’astrazione, ad una prassi omologante della lingua” arrivando all’equazione:”lingua/concetto; dialetto/sentimento. Dove, continua Camilleri, è chiaro che al dialetto si veniva ad offrire una posizione in un certo senso subalterna: i sentimenti che si sarebbero dovuti esprimere erano quelli del ‘popolo’ – il fruitore del dialetto – e perciò sentimenti elementari, istintivi. E se talvolta vi faceva capolino l’ironia, si trattava di rabbia, o di rifiuto, mai di un rapporto critico-concettuale con la realtà.

Poi dopo anni di decadimento del dialetto, continua Camilleri, come espressione letteraria…ci si rese conto che l’uso del dialetto altro non era che la scelta pura e semplice dello strumento di comunicazione più atto a garantire quel livello di restituzione che il poeta stesso voleva in quel momento raggiungere. Questo strumento non era tolto di peso dalla ‘parlata’ ma veniva ristrutturato, ritrascritto, rifonetizzato, reinventato sino a proporsi come linguaggio personale.

E’ quello che esattamente fa Mimmo Galletto…: i risultati assai spesso di splendida qualità che egli raggiunge sono ottenuti lottando ‘contro’ la concretezza del dialetto: il linguaggio poetico è guadagnato alterando le linee prospettiche della parola dialettale per far sì che essa non sia soltanto la geometrica proiezione della realtà.

La ‘parlata’ prescelta, insomma, pare, a prima vista essere quella di Raffadali: dico pare, perché Galletto ne fa uso raffinatissimo e così accorto e controllato nel gioco dei contrasti tra parole disuete e parole di conio recente, tra significati abbandonati e significati acquisiti, da spiazzare frequentemente il lettore verso altre strutture dialettali non tutte situabili entro i territori raffadalesi..

Inoltre, l’orecchio di Galletto è sempre attentissimo al suono, alla cadenza del suono, allo sviluppo del suono: ne risulta un impasto cromatico ad un tempo vivo e morbido, dove l’eco di una parola si incontra e si fonde con il pre-eco della parola che segue.

Il lettore, afferma Camilleri, scoprirà allora che il Galletto, come ogni poeta autentico, è assai più candido di quanto voglia apparire e assai più complesso di quanto voglia mostrare. E viceversa, naturalmente”.

Dopo queste riflessioni di Camilleri sulla poesia di Domenico Alvise Galletto noi non avremmo nulla da aggiungere.

Però non possiamo non citare quello che scrive lo studioso Salvatore Di Marco che nella poesia di Galletto trova i motivi dell’amore e soprattutto quelli del dolore, della malinconia e della precarietà del vivere.

“Tra le nuove generazioni della poesia siciliana, scrive Di Marco, Mimmo Galletto ha già conseguito una collocazione di rilievo assai significativo”.

Tutto questo mondo poetico si trova nella commedie di Galletto per le quali occorre un discorso a parte perché Galletto è anche uomo di teatro di un teatro ironico, di un’ironia che ‘fa ridere con le la lacrime’ lacrime che esprimono gioia e dramma di situazioni della nostra vita comune. Galletto, come autore e come attore, è una maschera, una maschera che fa ridere e fa pensare, che porta in scena situazioni reali della nostra vita e di un mondo contadino che non resta tale e che si riscatta, come avviene per le donne siciliane di “La tedesca” che capiscono la modernità e vi si adeguano.

Le sue esibizioni teatrali riscuotono sempre grandissimo successo di pubblico per il contenuto delle opere, per la finezza della interpretazione, per il linguaggio pulito e caratteristico, perché Galletto è anche una maschera greca, una maschera pirandelliana.

Noi concludiamo queste nostre riflessioni con la speranza che qualche editore illuminato voglia ripubblicare le poesie di Domenico Alvise Galletto e le sue opere teatrali che possono essere rappresentate, con la sua ottima compagnia, in tutti i teatri italiani senza paura che il dialetto non possa essere compreso. Tutti hanno compreso il teatro in dialetto di Edoardo, tutti comprendono gli scritti di Camilleri e tutti capirebbero le commedie e le poesie di Domenico Alvise Galletto il cui nome è già scritto nella letteratura siciliana che conta.

Aria di prima matina

pulita

lu munnu suspira la vita

chi nasci

annittata.

Ancora ‘un c’è suli

c’è sulu chiaria

si senti pi via

‘na canzuna

ca chiama ‘a iurnata.

Sbadiglianu i primi finestri

passà la nuttata.

 

Notti

E la notti

È ‘na manta di paci

Ca adasciu si posa

Nnu cori

Di l’omini stanchi

E ‘u silenziu

E ‘u suspiru di l’arma

E ‘u foddi pinsari

Cummoglia.

Agrigento, l’ 21. 8.2017

Gaspare Agnello