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Ci interroghiamo spesso per sapere se la letteratura serve a cambiare il mondo. Bufalino diceva che un libro può espugnare una fortezza; serve anche a interpretare il futuro guardando indietro perché dal passato vengono ammonimenti, insegnamenti, stimoli.

Gli uomini quasi sempre dimenticano e rincorrono la vita senza pensare a quello che è stato prima.

A Catania nessuno pensa di leggere una targa che così recita:

“Ferma le piante, e leggi, o passagiero, A. 9 di Gen°. 1693 trema Catania a scosse di ferro terremoto, e replicando all.11 del medesimo con tutte le sue grandezze con 16 mila catanesi sepolta da sassi, derelitta da vivi, derubata da ladri rimane; in simil fato a fuggir le mura a raccontarti nei campi, a custodir la città questo marmo ti insegni cossi viverai AN:DO: 1693”.

“A custodir la città questo marmo ti insegni…”

Il mondo ha fretta e va avanti senza guardare indietro. Semmai si ferma a leggere la targa qualche gruppo di giapponesi.

Marco Vespa, medico, ma soprattutto scrittore, con il suo libro “Tutte le sue grandezze”, che questo giornale ha già recensito, si è soffermato a leggere la targa e ha riflettuto sulla condizione di Catania e dei catanesi, sulla precarietà della vita vissuta all’ombra di una “muntagna”.

E questo la ha fatto pochi mesi prima della scossa della notte di Natale di quest’anno, quasi ad evocare un fenomeno con cui Catania convive.

Marco Vespa parte dal 1693 quando una Catania,  non certo di queste dimensioni, subisce un terremoto che uccide ben 16 mila persone, una catastrofe immane e prende atto che la vita di questa città è basata sulla provvisorietà, sull’incombere drammatica dell’Etna che ruggisce, fuma, sputa lava e fa ballare la terra, senza tanto impensierire la popolazione, abituata a questa provvisorietà con la quale convive senza drammi.

Il libro si apre con un terremoto che ha una scossa rilevante e il suo seguito di ‘sciame sismico’.

“C’è come un boato sotterraneo, e tutto trema da sotto i piedi. E’ il terremoto, una scossa. Le luci dei lampioni fanno per spegnersi e si riaccendono, il cielo diventa più nero. Si aprono finestre, si affacciano delle teste, ripetono: “ Terremoto”.

La gente si riunisce nel cortile magari senza tanta ansia.

“Come va Riccardo? Sentito che scossone?”. “Riccardo fa sì con la testa, allarga le braccia, come per dire: ‘siamo sotto questo cielo’ E c’è un altro tremore, leggero, ancora la terra di sotto che sussulta”.

Marica, addirittura, dubita che sia avvenuto il terremoto.

“…Io non mi sono accorta”. “Dice la donna e aggiunge una risata, si impappina, chiede a Guglielmo Colasparra che le racconti bene, perché lei non ha sentito niente”. “…Era in macchina, racconta, e non si è accorta, probabilmente le gomme hanno attutito la scossa, ma non si capacita”.

“Marica, la testa per aria, ripiglia la chiacchera; che il terremoto non lo ha sentito, le resta il dubbio che sia una balla, una suggestione collettiva”.

“Riccardo ripete che c’è stato, e come, una scossa bella forte e una piccola, per niente suggestione. Lui dormiva  e la prima gli ha messo il cuore in gola, un’angoscia primitiva, pareva che tutto si spaccasse attorno, come in una caverna all’inizio del mondo”.

Il mondo non si ferma e la vita continua.

Gli amici di Colasparra si riuniscono e fanno festa; la festa si trasforma in un’orgia, come per dimenticare. Sesso e droga.

Ma la targa di marmo è lì a ricordare ai catanesi che la loro vita è la precarietà.

Nel più bello della festa ecco “….E c’è ancora il terremoto. Prima un tremore, poco più di una vibrazione che si prolunga e sembra vada a finire, si trasforma in sussulti che spingono dal profondo e scuotono tutto; tonfo di oggetti, i mobili contro le pareti, crac di muri, come un tuono e qualcosa si sbriciola e corre”.

Marica finalmente si convince che il terremoto incombe e dice: “voglio andare, fate un poco di luce”.

Allora di nuovo in cortile: “ Tutti alla palma…Arrivano inquilini, in abiti sommari, anche pigiami, e su una giacca; ben messi e sbalorditi, giovani in maglietta, i vecchi più coperti”

E non finisce qui perché Marica e Riccardo che scappano verso il porto devono combattere con il mare agitato dal terremoto.

Che senso vuole avere un romanzo pubblicato appena due mesi addietro dal recente terremoto e tutto incentrato sul terremoto, sulla precarietà della vita di chi vive nelle pendici dei vulcani?

Marco Vespa, come scrittore, è portato a riflettere e interrogare la storia, ad ascoltare le ammonizioni del passato.

Se una eruzione ha sepolto Pompei, come fanno gli uomini a dimenticare e a costruire sotto il Vesuvio?

Se nel 1693 un terremoto ha distrutto buona parte della Sicilia orientale, come si fa a non riflettere pensando che tutto si può ripetere, anzi si ripete?

Poche ore prima della grande scossa del 24 dicembre ho detto a Marco Vespa che aveva evocato il terremoto.

Vespa mi ha detto che è la targa di marmo di Catania che ci ricorda terribilmente la nostra condizione.

E se gli uomini avessero pensato a quello che è successo secoli addietro avrebbero adottato le misure necessarie per evitare grandi disastri.

Bisogna rispettare la natura che ci avvisa e sottostare alle sue leggi che sono più grandi di noi.

Questo è il grande pregio della vera letteratura.

Agrigento, lì 28.12.2018

 

Gaspare Agnello