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Alfonso Gueli, scrittore e soprattutto uomo di teatro, ha pubblicato il suo libro “Maledetta Città” nel 1978.

Oggi, a distanza di più di quaranta anni, ce lo ripropone con la casa editrice Medinova con qualche lieve modifica e con qualche aggiunta che non cambiano la natura del libro.

Diciamo subito che nulla è cambiato o quasi nulla in Agrigento e nella stessa Sicilia, dove i problemi si sono aggravati;  per cui il libro di Gueli è di estrema e pungente attualità.

I protagonisti sono un pittore e uno scrittore-giornalista, ma in tutti e due i personaggi del libro si identifica lo stesso scrittore per cui possiamo dire che l’opera è autobiografica.

Il pittore vive una situazione di insofferenza nei confronti della sua città e della stessa arte.

Nella sua città regna “l’indifferenza e l’assuefazione” che nascono da duemila anni di dominazione straniera.

Il pittore, come lo scrittore-giornalista, capisce che, per realizzarsi, deve uscire fuori da Agrigento a dalla Sicilia e vive il dramma della scelta: restare o partire.

“Cercavo una ragione per restare ad Agrigento e non l’ho trovata, però resto ugualmente…Si può sonnecchiare beatamente”.

“La gente agrigentina è arida, la gente vive la sua vita di tutti i giorni senza che nulla la scuota. E io? Io resto qui come al solito a ridere e scherzare come se fossi contento, ad aspettare”.

“Andarsene, ribellarsi sul serio. Ma ribellarsi a chi, a che cosa. Al benessere in cui ti trovi immerso, alla sicurezza, che ti dà una famiglia alle spalle. Ribellarsi a chi ha riposto in te ogni aspirazione?

Non me la sento, non ne ho il coraggio”

“Maledetta città, ogni giorno dedicato a te è un giorno sprecato”.

I due vivono come la zia Emilia che “ se ne stava  al balcone a guardare giù nel cortile, quei pochi metri quadrati che erano stati il suo universo…”

Anche ad Agrigento uno dipinge e l’altro scrive ma il tutto resta nel cortile per cui si arriva a un concetto negativo dell’arte. “Il peso dell’uomo di cultura è irrilevante”. “L’arte?  Ma è morta, seppellita dallo smog, inutile cercare di rianimarla con sali bianchi”. Ecco perché il pittore pensa di fare una mostra di tele bianche tutte incorniciate e firmate regolarmente.

Il successo di Guttuso, che è andato via dalla Sicilia, è ridicolizzato però forse invidiato o sognato.

Alla fine, e qui c’è tutto il senso del libro, il pittore dice : “Vivere ad Agrigento è una scelta non obbligata. Per cui, preparo i bagagli e parto. Anzi, rimango.

Durante i quarant’anni di vita del libro, la critica, quasi unanimemente, ha considerato eroica la scelta di restare. Noi ribaltiamo drasticamente questa concezione e diciamo che è stato un atto di vigliaccheria, una scelta piccolo borghese, contro ogni ideale e aspirazione di affermarsi nel mondo dell’arte, della letteratura e del giornalismo.

Nel libro c’è tutto il contrasto generazionale tra padre e figlio. Il padre gli dice che “ il dovere di un uomo è rispettare il padre e la madre, di studiare quando è in età di studiare, di lavorare quando è in età di lavorare, di essere onesto, mettere su famiglia ed educare i figli, questo è il dovere dell’uomo”. Il padre chiama imbecilli coloro che contestano il suo sistema e dice che loro non capiscono niente della vita.

Il figlio reagisce dicendo che nella vita ognuno deve fare quello che crede giusto. E giusto era partire in cerca dell’arte, della letteratura, del giornalismo.

Non parte, anzi resta.

I due personaggi del libro, che sono due persone in carne ed ossa con nomi e cognomi precisi, hanno continuato l’uno a dipingere e l’altro a scrivere facendo ambedue cose egregie ma non hanno avuto le ali per volare.

L’autore Gueli nella post- fazione afferma che rifarebbe la scelta di restare, ma noi sappiamo che la sua è stata una scelta piccolo borghese, una scelta di comodo che gli ha impedito di fare il giornalista e di calcare scene del teatro a lui confacenti e di fare arrivare i suoi romanzi a una platea di gente molto più vasta.

Ha vissuto comodamente ma è lui stesso a dire che la vita si vive una sola volta e la si deve vivere secondo le proprie aspirazioni.

Sicuramente ci obietteranno che se tutti vanno via la Sicilia non potrà progredire. Noi diciamo che il meridione non si salverà con gli atti singoli di eroismo ma con una seria e forte politica decennale di sviluppo che eviti la desertificazione dei nostri centri abitati.

Oggi debbiamo condividere, purtroppo, il pensiero di Tomasi di Lampusa ribadendo l’irredimibilità della Sicilia di cui i partiti non parlano più.

Il libro di Alfonso Gueli è stato recensito da Giorgio Barberi Squarotti, da Luigi Tundo,da Salvatore Orilia, da Ignazio Buttitta, da Teodoro Giùttari e da tanti altri e nessuno di questi ha considerato le conseguenze del restare in una terra dove è difficile emergere. Tutti i critici hanno però messo in rilievo la bellezza del libro “Maledetta città” che rappresenta in maniera magistrale il dramma dei due protagonisti, con un ordito narrativo e una prosa così alta che ci appalesa il grande mestiere del nostro autore.

Vero che Gueli non è partito però, nella quiete della sua città, ha prodotto libri quali “Ritrovare Paola”, “Libertà d’artista”, “Tutte le parole che vuoi” e un cofanetto con quattro volumi di opere teatrali edito da Prova d’Autore di Catania, che sono tutti di grande valore letterario. Noi riteniamo che Gueli sia uno dei più raffinati e colti scrittori e uomo di teatro siciliani e siamo sicuri che il cielo  salverà le sue opere e le farà arrivare in porto.

Agrigento, lì 16.5.2019

Gaspare Agnello