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Alfonso Gueli esce da un lungo e amaro silenzio con un libro di racconti “Ombre scolpite” stampato dalla casa editrice Medinova.

Il volume è frutto di una lunga e dolorosa meditazione letteraria che ha portato l’autore a rielaborare vecchi temi che si trovano nel libro “Maledetta città”, nel romanzo “Ritrovare Paola” e nei suoi componimenti teatrali, e a considerare il senso o il non senso della vita, il valore dell’arte e il suo perché e l’assurdità del vivere. Certamente i suoi racconti, che sono figli di un drammaturgo, si muovono nel territorio dell’assurdo: probabilmente Gueli ha subito il fascino dell’ultimo Ezio D’Arrigo o la sua letteratura è frutto di un modo amaro di concepire la vita: “si passa metà della vita, scrive l’autore, a domandarsi se ne vale la pena e l’altra metà a non sapere come rispondere…perché in fondo non ne vale mai la pena, se ci rifletti troppo, e invece vale sempre la pena, e vuoi sapere perché? Perché non è una pena. E’ vivere sai?, e vivere è un miracolo che non si dovrebbe sprecare”.

E ancora “Ho quasi cinquant’anni. Che cosa volete che mi aspetti di nuovo e di esaltante dagli anni a venire?

Intravedo già la ‘discesa’, i deprimenti rituali del vegetare. Prima o poi smetterò anche di sognare, senza avere la possibilità o la voglia di vivere a modo mio: qui, in una grotta, accanto alla bocca di un cratere”.

La vita è un bluff che si vive come in un gioco d’azzardo o si vive ‘secondo copione’ subendone tutte le nefandezze che il nostro autore guarda con ironia amara e con ‘umorismo’ pirandelliano.

L’aspirante netturbino vive una vita sognando il posto al comune e viene cullato da una politica assurda e assassina.

Antonio, cittadino onesto e ligio al dovere, è processato perché rompe i canoni della vita normale e vuole vivere onestamente e rispettando le regole; ma questo non è possibile, è ‘assurdo’, è vivere da ‘sovversivo’.

Gueli coglie anche il dramma umano della civiltà industriale dei ‘Tempi moderni’ che annientano l’uomo.

Le macchine schiavizzano l’uomo, ma l’uomo di Gueli distrugge le macchine per riprendersi la sua vita e la sua dignità, ma questo è impossibile perché ormai l’uomo si è assuefatto alla schiavitù e, dopo averle distrutte, le macchine, se le ricostruisce: “Mi hanno fatto annientare mostri, io ho rigenerato mostri. Il conto torna”.

L’uomo di Gueli è senza anima, è solo materia. Infatti, le cellule non muoiono e quindi sono eterne, mentre l’anima che non è materia finisce. Il Professor Tarchelli dice: “ormai sappiamo bene che l’anima invecchia e muore, così come abbiamo scoperto da tempo l’immortalità  della cellula; cioè, signori, della materia e conseguentemente della vita”.

In questo mondo non ci sono più le stelle cadenti, non ci s’innamora e la vita passa come le nuvole che si accavallano una dopo l’altra.

Alcuni si fanno sorreggere da quella cosa che non mi è mai appartenuta e che chiamano fede, dice un personaggio del libro. Credere! Che parola ambigua, eppure…necessaria! Credere. Dio? Gli uomini? Gli…ideali?

Non rimane che l’arte. Tre uomini, uno scrittore, un pittore, e un musicista si ritirano nella casina triste per dedicarsi all’arte. Credono che la letteratura, la pittura e la musica abbiano bisogno di loro. O è forse al contrario e cioè loro hanno bisogno della letteratura, della pittura e dell’arte.  Lo scrittore si ritrova con la pagina bianca, il pittore con la tela bianca, il musicista con il pentagramma vuoto. Ognuno è alle prese con un’opera mai finita.

“Lo scrittore, il pittore e il musicista invecchiavano e continuavano a discutere, in disaccordo su tutto ma concordi nel difendere la libertà d’artista.

Libertà d’artista non è dipingere un quadro…

Non pubblicare un libro…

Non fissare sulla carta una melodia.

…Libertà d’artista è porsi di fronte all’opera possibile e renderla improbabile.

….Libertà d’artista è vera libertà.

…Libertà d’artista siamo noi.

…Libertà d’artista è porsi di fronte all’esistenza possibile e renderla improbabile.

Ed ecco che il nichilista Gueli trova la via d’uscita e suggerisce all’umanità di vivere la vita possibile.

Del resto nel racconto “Strada lunga, dritta” l’autore, in relazione alla vita, aveva affermato: vale sempre la pena (viverla), e vuoi sapere perché? Perché non è una pena. E’ vivere sai?, e vivere è un miracolo che non si dovrebbe sprecare”.

Da queste brevi notazioni il lettore si renderà subito conto che i racconti di Gueli sono pieni di grandi riflessioni sul senso della vita, sono pieni di grande ironia beffarda e a volte drammatica, sono anche lo specchio della nostra società con tutti i suoi vizi e i suoi difetti.

Un’opera letteraria, quella di Gueli, di grande pregnanza, scritta in maniera elegante e con sobrietà.

Insomma un’opera che va letta e meditata e che ci conferma come Alfonso Gueli sia uno degli intellettuali più serii e più completi del panorama letterario siciliano.

Agrigento, lì 18.10.2011

Gaspare Agnello