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Sono stato invitato da Mario Gaziano a celebrare i trenta anni del libro Associazione indigenti che vide la luce nel settembre 1979 e ho accettato con grande passione ed emozione perché ma ha ricordato una parte determinante della mia vita politica e culturale.

La manifestazione, che si è svolta allo Stoai di Agrigento, ha avuto come relatori Gero Miccichè, laureato di fresco alla Bocconi, e Settimio Biondi Assessore alla Cultura del comune di Agrigento, oltre a Matteo Collura che era reduce di un’altra celebrazione dell’opera a Milano.

La manifestazione, che ha avuto una bella cornice di un pubblico colto e raffinato, è stata ripresa interamente dalla emittente televisiva Teleacras ed è stata molto toccante perché ha ripercorso il successo di un’opera letteraria che dura ininterrottamente da trenta anni, tant’è che il libro è stato ripubblicato in edizione economica.

Pietro Agnello

Devo premettere che nel 1980 il Sindaco di Grotte Pietro Agnello, su suggerimento di Mario Gaziano, aveva istituito il Premio letterario “Racalmare” città di Grotte, la cui presidenza doveva essere affidata a un uomo di grande levatura culturale nazionale. Il premio aveva come tema “Letteratura e Meridione”.

Fino alla 1982 il premio non riuscì a decollare. Ma, come dirò più avanti, non appena ebbi letto il libro di Matteo Collura “Associazione indigenti”, fui preso da tale entusiasmo che mi recai dal Sindaco di Grotte Filippo Giambra e gli chiesi di andare da Leonardo Sciascia per proporgli di diventare Presidente del Premio e di premiare, per la prima edizione, il libro di Matteo Collura.

Il Sindaco Giambra mi disse di andare da solo a fare la proposta e se Sciascia avesse accettato allora sarebbe venuto con altri componenti della Giunta comunale.

Mi sono recato con grande timore ma anche con un poco di sfacciataggine nella terrazza di Contrada Noce e proposi a Sciascia di diventare Presidente onorario del Racalmare e di premiare l’opera prima di Matteo Collura “Associazione indigenti” edito dalla casa editrice Einaudi nella collana i gettoni.

Sciascia mi rispose così: “la cosa mi piace perché il libro è nato tra le mie mani”.

Riferii al Sindaco Giambra che, assieme ad altri, venne in contrada Noce ed ebbe così inizio l’avventura del premio letterario “Racalmare” città di Grotte che vide impegnato lo scrittore di Racalmuto fino alla sua morte, quando premiò lo scrittore di Barcellona Manuel Vazquèz Montalban, avventura di cui ci riserviamo di parlare più a lungo in occasione del ventennale della morte di Sciascia.

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Foto: Manuel Vasquez Montalban Ritira il Premio da Vincenzo Consolo. Premio Racalmare 5a Edizione

La cerimonia di consegna del premio che aveva una consistenza di £. 500.000 avvenne il 30 aprile 1982 presso il cinema Marconi di Grotte alla presenza di Leonardo Sciascia, dei consulenti Antonio Di Grado e Natale Tedesco, della Giuria composta dal sottoscritto Gaspare Agnello, da Giacomo Agnello, Salvatore Bellavia, Antonio Cimino che fungeva da relatore, Stella Castiglione e degli amministratori comunali Filippo Giambra Sindaco, Gandolf Mazzarisi Assessore alla Pubblica Istruzione e Stella Castglione nella sua altra qualità di Assessore allo Sport, Turismo e Spettacolo. Il tutto organizzato e diretto da Mario Gaziano che per tanti anni curò la regia del premio.

In quella occasione la compagnia “teatroaggì” presentò un adattamento scenico di “Associazione indigenti” curato da Mario Gaziano che era stato presentato ad Agrigento in seno alle manifestazioni culturali “Letture agrigentine”.

Debbo aggiungere, per onestà intellettuale, che Matteo Collura ci ha spiegato che Lui il manoscritto lo diede a Sciascia per avere un giudizio e che Sciascia glielo restituì con una macchia della tazzina di caffè dicendogli : “Il libro c’è…lo puoi dare a Einaudi”.

Così avvenne e Vincenzo Consolo, che lavorava per Einaudi, fu entusiasta e l’opera vide la luce ed ebbe la vita che noi tutti conosciamo.

Io allora, poco avvezzo, alle recensioni letterarie, recensii il libro e quelle riflessioni le tenni per me fino ad oggi.

Le ho riprese, mi sono complimentato con me stesso e ora le ripropongo al pubblico del mio blog perché possa essere indotto a leggere “Associazione indigenti”.

“Associazione Indigenti” di Matteo Collura Ed. Einaudi

Agrigento, Gennaio 1982

Passeggio in via Atenea ad Agrigento e nella vetrinetta del tabaccaio Di Leo vedo esposto un libro di 105 pagine che mi colpisce per il fatto di essere scritto da un noto cronista agrigentino oriundo di Grotte, mio paese natale; entro nel tabacchino-libreria per acquistare il libro che si intitola “Associazione indigenti” di Matteo Collura ma il prezzo di £.3.000 mi dissuade dall’acquisto..

Ripasso dopo alcuni giorni e la mia curiosità mi porta ancora a soffermarmi su “Associazione indigenti” anche perché mi suscita curiosità il fatto che la casa editrice Einaudi abbia pubblicato nella sua collana i Nuovi Coralli l’opera prima di un cronista, approdato da pochi anni a Milano e proveniente dalla stanca provincia agrigentina e dalla Palermo degli anni ’70 che assomma in sé contraddizioni e drammi di un potere politico clientelare e mafioso che genera distorsioni e dislivelli economici paurosi e che impedisce di cancellare antiche vergogne di una città che si decompone; così mi decido all’acquisto.

Il libro appena si apre invita subito alla lettura e si appalesa semplice nello stile e nella struttura; è una semplicità e una sobrietà elegante e sintatticamente perfetta a cui ci ha abituati il primo Sciascia del “Le parrocchie di Regalpetra” e che quindi si inquadra in un modo di raccontare le cose, tutto nostro.

Si va avanti rapidamente nella lettura che affascina e tutto a un tratto ci si trova alla fine del libro sconvolti e smarriti; è un libro di cronaca di un accadimento palermitano e quindi un racconto giornalistico? O una vera e propria opera di narrativa che trae spunto da un fatto realmente accaduto che lo scrittore ha vissuto e quindi ripensato per offrirlo ai lettori secondo una sua chiave narrativa e poetica?

Ci troviamo dinanzi ad un’opera di indubbio valore letterario la cui storia è stata vissuta a Palermo, ma certamente scritta a Milano.

“Lontano dalla Sicilia, scrive il critico letterario Pietro Amato, il materiale escandescenze(sic) si è decantato ed ha funzionato come stile asciutto, leggero, svelto sulla pagina”. E Matteo Collura “se l’è cavata sul filo del rasoio” per dirla ancora con Pietro Amato.

Ma quello che mi ha sconvolto e che mi ha spinto a diventare, almeno per una volta, e spero che non me ne vorranno i professionisti, critico letterario, è il mondo che Matteo Collura ci fa scoprire, sollevando un coperchio da un pattume che manda cattivi odori di vicoli putridi e maleodoranti e da cui emerge una corte di derelitti che prende coscienza di sé e si organizza in associazione con un Presidente che così si fregia anche nel suo biglietto da visita e che fa dire a Sciascia nel libro “Nero su Nero”:

“Subito penso al “pulviscolo umano” del conte di Bobineau, al sottoproletariato – “questa putrefazione passiva degli infimi strati della società” – de Il Manifesto del Partito Comunista: e che il pulviscolo ha un ufficio, che la putrefazione vuol diventare attiva.

Non so se Sciascia e Collura, che hanno trattato lo stesso argomento, ne abbiano parlato assieme; io penso di si se si dice addirittura che Sciascia abbia avuto tra le mani il manoscritto di Collura prima che venisse dato alle stampe e che abbia dato addirittura qualche consiglio al giovane autore, però la osservazione di Sciascia: “che la putrefazione vuol diventare attiva” sarà stata certamente tenuta presente dal Collura che inquadra la sua opera nell’ambito della moderna storiografia che, con Gramsci, diventa la storia degli oppressi, delle classi subalterne che con il loro dolore e con il loro sacrificio hanno scritto la storia che i re e i generali si sono intestata.

Matteo Collura rifiuta la concezione di Marx e di Engels che nel manifesto del Partito Comunista affermano: “Quanto al sottoproletariato, che rappresenta la putrefazione passiva degli strati più bassi della vecchia società, esso viene qua e là gettato nel movimento di una rivoluzione proletaria; per le sue stesse condizioni di vita esso sarà piuttosto disposto a farsi comprare e mettersi al servizio di mene reazionarie”; e pensa certamente a un riscatto del sottoproletariato urbano anche se l’opera è intrisa di una patina di pessimismo che è tipico della nostra cultura che va da Verga, a Pirandello, a Tomasi di Lampedusa, a Sciascia.

E gli stessi protagonisti del libro sanno che il riscatto dovrà avvenire tramite le loro forze, perché hanno preso coscienza del fatto che anche i partiti della sinistra li considerano pulviscolo e putrefazione umana. Giuseppe Boscone, il Presidente della Associazione degli indigenti, parlando dei sindacati dice: “Quelli di noi se ne fottono. Non siamo lavoratori noi”. Ed ancora più avanti lo stesso Boscone parlando del Segretario del PARTITO dice: “Sì, ma se ne fottono. Hanno altri cazzi per la testa”. “ Noi non siamo nessuno, dice Vincenzo Stura, il Segretario dell’Associazione, diamo solo fastidio… Siamo solo fango. A nessuno conviene mettere le mani nel fango…”

“…Sì, ma non è facile chiudermi la bocca, ripete il Presidente Boscone, dobbiamo lottare e lotteremo”. E qui, a mio avviso, sta la chiave di tutto il libro, nella volontà dei sottoproletari di diventare uomini, cittadini con pari diritti in una società che non li respinga più e che si serve oggi dell’autorità per emarginarli con tutti i mezzi possibili. E l’emarginazione avviene a tutti i livelli e per mezzo di tutte le istituzioni di cui la società borghese dispone: il poliziotto è sempre pronto a puntare il fucile su chi sciopera e mai su chi succhia il sangue dei poveri, il Prefetto fa ricevere gli straccioni da un suo funzionario, il Cardinale fa trovare gli sbirri dinanzi al suo portone, il Papa manda a ricevere gli straccioni un suo prelato con un assegno di un milione, la città chiude le finestre al passaggio degli affamati che possono circolare liberamente nel loro habitat naturale costituito da vicoli fangosi, pieni di topi, di zanzare, di scarafaggi che corrispondono ai nomi di Piazza della Magione, di La Vucciria, di Largo Macello, di quel rigagnolo putrido che si chiama fiume Oreto, dell’Ucciardone, del Manicomio, dell’Ospedale Civico, dei pisciatoi pubblici che Collura descrive in maniera egregia avvalendosi forse della sua antica esperienza di pittore.

In questo scenario, che si completa con le grandi arterie di Palermo e con il Monte Pellegrino della Santuzza, si muovono personaggi squallidi, ma penosi, ubriaconi, faccendieri, scippatori, incestuosi che non si fanno odiare e suscitano tenerezza e compassione. Gente che vive alla giornata e che porta a casa qualcosa attraverso mestieri improvvisati, imbrogli, scippi, prostituzione, contrabbando, accattonaggio.

Il libro ce li fa diventare amici: Giuseppe Boscone, il Presidente dell’Associazione, finisce in Ospedale dove osserva un losco traffico che si esercita sui cadaveri e che viene portato in manicomio per evitare che dia troppo fastidio, Vincenzo Stura che va a finire in Galera perché il figlio aveva rubato un quadro di nessun valore artistico e venale, Antonietta Pedara che, stanca di questa vita piena di stenti, lascia i figli e il marito e si fa risucchiare dalle onde del porto, nonna Grazia vecchia e smunta ma tanto battagliera da arrivare a Roma per parlare con il Papa, Masino che divideva il letto con i figli e che arrivò, nella sua ubriachezza, all’incesto con la figlia Mariuccia di 13 anni: “Quella volta, nel plenilunio che attraverso il portello aveva invaso la stanza, i fianchi scoperti di Mariuccia, le sue cosce scure di donna già fatta lo stordirono. Come in un sogno allungò la mano tremante”.

Su tutti emerge la miserabile figura del Dr. Lannina che è il Presidente dell’Ente Assistenza Poveri che è l’unico vero sottoproletario del libro che rappresenta un potere meschino e repressivo che non sa dare risposte a richieste che in fondo sono pur esse miserabili e non assurgono alla dignità della protesta per un vero riscatto perché in questa gente manca ancora la capacità culturale per una battaglia di fondo per il loro riscatto economico e sociale.

In fondo questa gente chiede il riconoscimento della organizzazione, sussidi più consistenti, cibo mangiabile nei refettori, assistenza domiciliare per gli anziani e per avere questo deve condurre una dura lotta che li porta a Roma in Piazza San Pietro con cartelli che lo stesso Presidente non sa leggere perché analfabeta.

Ma ovunque la porta è sbarrata o se si apre ciò avviene a livelli bassi. Solo dinanzi alla Santuzza a Monte Pellegrino qualcuno ha la sensazione che la Città distesa sotto il monte si sia fermata ad ascoltare il coro degli indigenti. Ma è una illusione nata forse dalla sclerosi di Magrì.

Il borghese delle nostre città burocratiche va avanti rassicurato da mete precise e non si pone il problema di quello che succede attorno ad esso anzi ne prova ripulsa e sbatte la porta in faccia a quanti soffrono: Agostino Giummo, che si attarda in una strada bene della città, si fermò a guardare una donna affacciata a un balcone. Quella non mi sta vedendo,- disse. E urlò:- Ehi, signora, mi vede? La donna ebbe un sussulto, rinculò.

Su signora, non abbia timore, dica soltanto se mi vede.

La donna scomparve dietro a una finestra che si richiuse.

Con questa finestra che si chiude sugli indigenti si chiude il libro.

Ma non può sfuggire al lettore attento un colloquio tra Giuseppe Boscone e Antonino Balsamo, nel terzultimo capitolo del libro, in cui Balsamo propone di andare di nuovo a Roma, dal Presidente della Repubblica per avere finalmente udienza.

E Giuseppe Boscone conclude il capitolo dicendo:

Immaginate che picchiate? Noi, giù, contro la città, contro i palazzi, come bombe d’aereo. Bum! Bum! Bum!

Queste sono le cose che mi ha ispirate la lettura del libro di Matteo Collura che io ho voluto scrivere solo per me stesso perché sono certo di non essere riuscito a trasfondervi i sentimenti che mi ha suscitato.

Sperò però che il libro possa essere letto serenamente e serenamente giudicato dagli uomini di cultura e dagli operatori politici perché attraverso un’opera che, senza volerlo, diventa anche denunzia, possano scoprire una realtà che molto spesso sfugge o fingono di non vedere.

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Gaspare Agnello