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La donna viene dalla terra, l’uomo dalla pioggia, il desiderio viene dai  demoni.

La nona edizione del premio letterario G. Tomasi di Lampedusa di Santa Margherita di Belìce dell’anno 2012 è stata appannaggio dello scrittore israeliano Amos Oz con il suo libro “Il monte del cattivo consiglio” edito dalla casa editrice Feltrinelli.

Amos-Oz

Amos Oz

Il Presidente della Giuria del Premio, il colto e raffinato Gioacchino Lanza, assieme alla qualificata giuria del Premio, non poteva fare scelta migliore sia sotto il profilo letterario sia sotto il profilo della opportunità politica essendo Oz un sostenitore della pace nel medio oriente con la creazione di due stati: quello ebraico e quello palestinese.

Del resto questa odierna è una conferma della linea datasi dalla giuria con le premiazioni precedenti di Jeshua, di Tahar Ben Jelloun, Magris, scrittore mitteleuropeo.

Amos Klausner, è nato il 4 maggio 1939 a Gerusalemme è ha avuto una vita molto travagliata.

Quando era ancora bambino ha subìto il trauma del suicidio della mamma Fania.

Poi ha avuto un rapporto difficile con il padre per cui è andato a vivere nel Kibbutz di Hulda dove ha incontrato la moglie e ha avuto i suoi figli.

Ha cambiato il suo cognome da Klausner in Oz che vuol dire forza.

Ha iniziato presto a scrivere incontrando subito un grande successo che gli ha consentito di non partecipare ai lavori materiali del Kibbutz e  dedicarsi interamente alla scrittura.

Poi è uscito dal Kibbutz per darsi all’insegnamento di letteratura nell’Università Ben Gurion del Negev e a una intensa attività giornalistica e letteraria.

A differenza del padre e dei suoi familiari, ha aderito al Partito Laburista per poi distaccarsene.

E’ convinto assertore della creazione dello Stato Palestinese alfine di potere raggiungere la pace in quella zona così terribilmente martoriata da guerre e diffidenze reciproche.

Tra i suoi libri più importanti citiamo:

  • Il monte del cattivo consiglio (1976);
  • Una pace perfetta (1982);
  • Conoscere una donna (1989);
  • Fima (1991);
  • Non dire notte  (1994);
  • Lo stesso mare (1999);
  • Una storia di amore e di tenebra  (2002) (autobiografia);
  • Contro il fanatismo (2004);
  • La vita fa rima con la morte (2008);
  • Scene di vita nel villaggio (2010).

Il premio gli è stato assegnato per il libro “Il monte del cattivo consiglio” scritto nel 1976 e pubblicato in Italia dalla Feltrinelli nel 2011 con la traduzione di Elena Loewenthal.

Il libro si compone di tre racconti: Il monte del cattivo consiglio, Il signor Levi, Nostalgia.

Lo scrittore ci riporta alla Gerusalemme degli anni precedenti la proclamazione dello stato ebraico in quel fatidico 1948 e ne descrive tuttte le pulsazioni civili e politiche.

L’odio contro gli inglesi, la cospirazione, l’anelito instancabile di uno stato libero e indipendente, la paura delle guerre e dell’accerchiamento arabo, la vita quasi clandestina della popolazione con tutte le sue implicanze drammatiche della cospirazione  e della speranza.

Il ragazzo Uri rappresenta l’aspirazione del popolo ebraico alla fondazione del suo Stato e per questo vive in continuo stato di allerta e con l’aspirazione alla bomba atomica; il signor Levi accarezza il grande sogno che diventa poi realtà drammatica e poi tante famiglie piccolo borghesi provenienti da tutte le  parti del mondo quali l’Univone Sovietica, l’Europa, l’America con qualche nostalgia per ‘Vienna’.

La vita in Israele è come una partita a scacchi e qui ci sovviene Gesualdo Bufalino , dove la partita che si gioca è tra la vita e la morte, tra la libertà e la morte.

Si vuole realizzare la profezia dell’amore fraterno che dovrebbe portare la pace a Gerusalemme.

Però prima la terra tremerà e le città saranno ridotte in cenere.

Ma il sole sorgerà e l’opera di si farà.

Il libro è pieno di metafore per cui va letto con attenzione e capito nei suoi profondi e nascosti significati.

Ma quello che più ci ha colpito dell’opera è l’ultimo racconto “Nostalgia” in cui ci sono le lettere del Dr. Emanuel Nussbaum alla dottoressa Hermina Oswald detta Mina.

Qui appare nella sua interezza lo scrittore che parla, sì, del problema  ebraico ma che ci fa conoscere l’uomo, con i suoi drami di vita e di morte, di amore e morte, con le sue debolezze.

Il suo amore per Mina, il suo antico rapporto con lei, che le ha dato un figlio  lasciato in una comunità, ci fanno vedere una scrittura di altissmo livello e dai sentimenti bellissimi.

Il Dr. Nussbaum è ammalato di cancro, sa di essere vicino alla fine, sa che non vedrà l’opera compiuta e quindi si sfoga con Mina in un monologo di grande spessore, dove il paesaggio diventa il centro della storia: “Davvero gli uccellini stanno dando il cambio sulle fronde del fico e del gelso, mentre l’oleandro si spegne in cortile. E’ arrivata la sera. Ululato di cani in lontananza, eco di campane, uno sparo, il verso di un corvo. Cose semplici, immediate, banali. Perché tutto mi risuona nelle orecchie come fosse una volta per tutte.….”

….La città e le montagne mi parevano incredibilmente tranquille. Minareti e cupole nella Città vecchia, quartieri abbarbicati alle colline grigie della zona nuova, qua e là qualche tetto di tegole, spiazzi vuoti, ulivi, come se non ci fosse anima viva. Solo nel boschetto alle mie spalle il vento secco che veniva dal cimitero militare inglese, due o tre uccelli che chiacchieravano amabilmente tra le fronde.

Ma davanti c’era il deserto. Proprio lì, sotto di me…

…Mi sgomenta questa vicinanza, fra me e il deserto.

Il dr. Nussbaum riporta, con le sue descrizioni, Mina alla sua terra, mentre lei sta in America. Vive il suo tramonto nel ricordo di quell’amore dicendole: “Io ti ho amato. Anche adesso.”

Oz, a nostro avviso, è uno scrittore che dipinge i luoghi di cui partla:  li fa vedere e i fa sentire i profumi e gli agenti atmosferici. Uno scrittore che tende alla poesia.

Forse in lui è stato iniettato il seme della poesia dalla poetessa israeliana Zelda che fu sua insegnante  o dalla sua famiglia, come lui asserisce.

E l’amore in Oz è sublimazione. Mina è il sogno di tutti noi. Ogni uomo ha la sua Mina a cui pensare e a cui vorrebbe sempre scrivere per potere raccontare i propri affanni”.

Oz è già un classico della letteratura mondiale.

Agrigento, lì 8.8.2012    www.gaspareagnello.it

 

 Brani Significativi Del Libro

 IL PAESAGGIO

Da oriente i rintocchi delle campane si moltiplicavano: campane alte e vaghe, campane ortodosse e campane anglicane, campane greche, abissine, romane, armene- come se la città fosse colpita da un’epidemia o un incendio. Ma quelle campane volevano soltanto chiamare “notte” la notte. E poi anche la brezza del nord-ovest, forse dal mare, che scompigliava le fronde dei pallidi alberi piantati dal comune su via Malachia e sfiorava gentilmente i riccioli del bimbo. E fu sera.. Un uccello invisibile ripeteva il suo verso strano e testardo. Nelle fessure della pietra, sui muri, fioriva la maggiorana. La ruggine si espandeva sulle vetuste persiane di ferro e sulle ringhiere dei balconi. Gerusalemme era muta, nell’ultima luce.

^^^^^

Di notte le valli tutt’intorno frusciavano. La natura selvaggia delle pietraie e delle vette lambiva le pareti di casa.

Gli sciacalli ululavano vicini, e il sangue raggelava nelle vene al pensiero dei loro passsi  felpati e vigili fra le piantine del giardino, sotto le persiane chiuse, magari persino in balcone. Un unico lampione del Governo mandatario britannico incastonato in piccoli pannelli di vetro da una calotta verde, spandeva una solinga luce sulla strada sterrata. Le dita del fico, giù nel giardino erano vuote. Fuori, al buio, non c’era anima viva. La luce del lampione non era per nessuno. La gente qui si chiudeva in casa al calar della sera. Madame  Yavrowa suonava il pianoforte ogni sera e suo nipote Lyubow Beniamina l’accompagnava al violoncello: era struggente.

^^^^^

La strada rimase deserta. Tutti tornarono alle proprie case. Solo il lampione quadrettato continuò veramente a spandere la sua misera luce. Venne il vento. Il fogliame del fico frusciò e poi tacque. Aveva ancora le mani vuote. Dei cani abbaiarono in lontananza. Fu notte.

 

^^^^Fuori, alla finestra, è un’altra precoce sera d’autunno.

Le cose semplici, trite, banali, è come se cercasero di dirmi qualcosa di urgente. La luce che si smorza, Mina, il verso dei corvi, l’ululato di un cane, di un suono di campana, ci sono da sempre e continueranno a esistere, persino il fischio del treno che sento in lontananza, da  Emek Refaim. Il pianto di un neonato. E una canzone polacca sulle labbra della vicina. Le ccose semplici, quelle vicine, banali, perché è come se si congedassero da  me, questa sera? Che devo fare, se non girarmi verso il muro e morire adesso, in questo istante? Sento anche la limpida certezza come una scossa elettrica: c’è un senso. C’è una ragione, c’è forse una via. C’è ancora un tempo in cui mi è dato di capire quale sia il senso, quale l’intenzione. Solo la tristezza continua a mordere: ho vissuto circa quarant’ anni. Sono stato cacciato più o meno, da un paese all’altro. Qui  ho anche fatto qualcosa, per quel poco che potevo. Qui ti ho amata. Ed ecco, tu te ne vai per la tua strada e io sono ancora qui al mio posto. Per molto. Anche qui mi stanno mandando via brutalmente: E’ la conclusione, Mina, la lezione,, il senso? Qual è la questione, come dicono qui?

PROBLEMATICHE ISRAELITE

“Sì abbiamo tre possibilità” ha detto il Dr. Kipnis drizzando tre dita pietose e piegandone uno per possibilità:

“A) il comitato consegna tutto il territorio agli arabi e noi siamo costretti a scegliere fra una nuova Masada e una nuova Yavne; B) il comitato propone una spartizione della terra, gli arabi accettano la decisione o la decisione viene loro imposta con l’aiuto di forze straniere. Ovviamente non gli inglesi. In tal caso il nostro compito sarà quello di essere preparati in previsione  di possibili disordini e, in quel momento, cercare di avere buoni rapporti con i vicini arabi che ci stanno tutt’intorno, ammorbidire le tensioni, come si dice.”

“Bisogna cacciarli via di qui,” ha detto stancamente Efraim, “cacciare via, respingere, che altro, che se ne vadano nel deserto, che è a quel luogo che appartengono. Qui c’è Gerusalemme, caro signor Kipnis, qui c’è la terra d’Israele, a forza di cercare di conciliare, se ne deve essere dimenticato.”

“La terza possibilità,” ha continuato il veterinario, ben deciso a quanto pareva a non rispondere alle provocazioni, “ è una guerra totale. E in questo caso il comitato del nostro quartiere non agirebbe, ovviamente, in modo autonomo, ma aspetterebbe ordini dalle istituzioni nazionali.”

“Come ho detto io,” ha esclamato Lustig, “organizzarsi, organizzarsi e ancora una volta organizzarsi!”

 

^^^Il re d’Israele sarebbe presto emerso dal suo nascondiglio in qualche anfratto del monte, avrebbe ucciso l’Alto commissario e sarebbe salito sul suo trono, a Gerusalemme.

 

^^^Il sole sorgerà e l’opera di sarà. Adesso!

 

^^^”La terra tremerà” diceva Efraim, “le città saranno ridotte in cenere e le torri precipiteranno a terra,” ripeteva, “e poi avremo la pace”

^^^”Pazienza, Uri. Il fuoco scoppierà al momento giusto e in tutto il paese di colpo. Malgrado tutto, facciamo progressi.”

^^^L’imbecillità, ha detto, trionfa ovunque. Persino nella nostra facoltà. Persino in politica.

^^^

Sì, tutto è guerra. E’ così nella storia, nella Bibbia, in natura e anche nella vita. Anche in amore c’è guerra. E nell’amicizia perfino.

^^^”Venga la pace fra le tue mura, la sicurezza nei tuoi palazzi (Salmi,122,7)

^^^Troppo duro questo paese.

 

A cura di Gaspare Agnello