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Segnalo la presentazione di CATARSI, uno spettacolo artistico liberamente tratto da Canto di Colapesce in cui io interverrò con una conversazione con Evelina Maffey. A Sciacca (AG), Venerdì 21 Giugno alle ore 21.30. Locandina e dettagli a questo link.

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Vincenzo Consolo “si doleva di non avere il dono della poesia, la sua libertà, la sua purezza, la sua distanza dall’implacabile logica del mondo”.

Evelina Maffey ha certamente il dono della poesia e lo  ha dimostrato ampiamente nelle sue precedenti pubblicazioni: “Anima Nuda”, che racchiude la produzione in versi del decennio 1985-1955, “Al largo di Orione” pubblicato nal 2001 con l’AICS, “La grotta azzurra” e “Il Satiro danzante” pubblicato nel 2008 con  Firenze libri e “La ballata della nave fantasma nel mare di Sicilia”.

Guardate questa conversazione con Evelina Maffey alla Badia Grande a Sciacca (Video 15′):

Qui un breve ma suggestivo video di 15 secondi di “Catarsi” (da Instagram):
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Ora torna ancora a farci sentire la sua musica poetica con questo poema sinfonico “Canto di Colapesce” che è il grido di dolore di tutte le mamme del mondo per i loro figli perduti, resuscitati o scomparsi in una notte di tempesta.

C’è nella Maffey un bisogno irrefrenabile di poesia.

Il grande poeta di Niscemi Mario Gori, affetto dallo steso male della Maffey, scrive:

“Nun è fattura fatta di mavari,

matri, stu mali che mi smaciddia,

è lu sdilliniu di la puisia

ca li sensi mi vinni a nfatturari.

E comu lu putissi mpastari

Stu cori ca mi sduna a la fuddia

Quannu l’amuri veni e tuppulia

Cu li so noti menzi duci e amari?

E’ un bisogno folle quello di cantare il proprio dolore per trasformarlo in dolore del mondo, è un bisogno di regalare emozioni. E’ lo stesso bisogno di Alda Merini che dice: “Se un poeta dona le sue carte con l’intenzione di regalare i propri patimenti, le ansie, le mille anime, gli altri dovrebbero ringraziarlo. Perché il Poeta con gli occhi rarefatti dalla follia, sta guardando il destino ANCHE PER LORO. Le foglie del destino sono vagabonde, scorrevoli e piene di baci nascenti”.

La foglie del destino sono vagabonde e toccano oggi me, domani te.

Duemila anni addietro è toccata a Maria che deve affrontare l’arresto e la morte del figlio e grida con il poeta Bernardino Giuliana:

“Vaju circannu a Gesù Nazarenu

Ca jè lu chiovu di l’armuzza mia”.

“….E a li pedi di la cruci,

ni lu sciallu cupinata,

resta petri senza vuci

la Madonna addulurata”

“…Adasciu, adasciu

Nun  ‘ llu faciti mali

Adasciu, adasciu

Scippati ssi chiova.

Ni lu me pettu,

ccà l’haiu chiantati…”

“Trentatrianni aviva, trantatrianni

E nti lu pettu na palumma bianca”….

I chiodi piantati nel petto della Madonna sono piantati nel petto di tutte le mamme del mondo e il poema poetico di cui noi oggi parliamo riproduce il dolore di questa donna con i tre chiodi piantati nel cuore, il dolore di Cerere che cerca tra i boschi della Sicilia la sua Proserpina, il dolore delle donne della Plaza de Majo, il dolore di Antonio Gramsci che, chiuso in una dura prigione, viveva il dramma della lontananza dei figli che non potrà mai rivedere: supplizio dentro il supplizio.

I chiodi di Maria sono i chiodi delle mamme che vedono i loro figli appassire in una società appestata, piena di insidie, di veleni, di paradisi effimeri che portano alla morte.

Il pianto di Maria e il grido lacerante di Preserpina sono il pianto e il grido delle mamme segnate dal dramma della droga che uccide i propri figli:

Non piangere donna, non piangere

Donna che hai visto travolgere

In uno schianto una vita strappata.

La sofferenza sulla tua fronte madida

Le tue labbra rosse tumide e turgide

Le tue palpebre appesantite e lucenti

Nelle tue lacrime copiose, la fotografia

Di un ragazzo ucciso a tradimento a

Coltellate….

….No donna non piangere

I suoi 19 anni snocciolati nella corona

Di rose opache che porti sciolta sul nudo

Collo….

….Curù

Che te ne sei andato in una notte

Buia buia che si poteva tagliare con il

Coltello.

In una fitta coltre estiva di un luglio

Burrascoso

Mi hai lasciato sola in questo mondo

Violento e disumano dove solo il tuo corpo

Mi basta per riempirmi di un’agonia che

Brucia.

Versi terribili, bellissimi, sublimi, questi della nostra poetessa che riescono a dare il senso del dramma materno. E basterebbero solo questi pochi versi per dare un giudizio sulla validità e sulla pregnanza di questa poesia che riesce a comunicare e che coinvolge il lettore facendolo partecipe attivo del teatro poetico.

C’ è nei versi una grande forza che è anche forza morale, la forza di tutte le mamme che non si arrendono e che  credono nella resurrezione che nasce dal loro amore, dalla loro fede.

Maria ha sperato e non ha creduto alla morte del figlio, Iside ricompone il corpo del marito Osiride, lo ricompone, si accoppia con lui e dà la vita:

…Tu

Che hai ritrovato il tuo corpo

Disperso in tanti pezzi

Ricomposto in una bara di

Temerice

Risorgi come Osiride nella valle del Nilo.

Amore mio, prendimi per mano e volgimi

Verso dove?

Dove

Sorge

Sirio…

 

….Un uomo si spoglia della sua pelle di

Serpente

Rinasce Farfalla pigramente adagiata

In una mare da sognatore.

…..Donna non piangere

Asciuga le tue lacrime

Non cadono in terra

Ma nel cielo degli Dei

Tuo figlio risorgerà…

E la resurrezione avviene perché la madre, in Evelina Maffey,  è la resurrezione e per questo la sua poesia è piena di speranza, di grande follia che è la forza motrice della poesia.

Erasmo elogia la follia e può affermare che senza la follia non esisterebbe la vita: un uomo si unisce a una donna perché diventa folle d’amore, si accoppia e genera perché mosso dalla follia dell’eros e senza la follia non ci sarebbe la cultura, non ci sarebbe la poesia.

E Cola Pesce che scompare nel mare, trova un nuovo amore, la Venere Nera che viene da noi con i barconi e non può morire; approderà all’Isola di Formica dove ritroverà la vita. C’è a Formica un mondo dolcemente folle che crea le condizioni per la resurrezione:

Ricordi

Uno scoglio di granito

Piccolo come una formica

Sperduto nel Mediterraneo

Affogato ed arso dal sole

Baciato dalle labbra delle onde

Dove una tonnara fa

All’amore

Con il cielo

Gridare  la

Gioia

Del tuo Io.

 

…Dicono che solo nuotando nel mare era

Felice perché si ricordava del suo primo

Viaggio nell’utero di sua madre.

E’ sempre la madre che ritorna e che è protagonista della nostra vita.

Ma Cola Pesce

Dicono che lottò per liberarsi di un mondo

Terreno, bugiardo ed ipocrita pieno di falsi

Miraggi ed illusioni.

Il mondo di James Dean, della gioventù bruciata di cui molti rimangono vittime, forse perché la loro madre si è distratta o chissà?

Ma Cola Pesce si riscatta forse per la forza insita in se stesso, forse per la fede della madre, forse per un  Mondo che si realizza a Formica, a Badolato, in Sardegna.

“Oggi Cola Pesce è un ragazzo dei tempi moderni che lotta e combatte contro il male universale. E scopre che questa battaglia è dura ma può essre vinta, dopo tante sconfitte e rivincite…”

Tutte queste lunghe citazioni le abbiamo volute fare per far capire al lettore quanto possente sia la poesia della Maffey che è una poetessa che sa elevarsi, sa sognare e fare sognare, fare sinfonia, ma restando con i piedi sulla terra per affrontare problematiche vere e brucianti della nostra società. E lo fa attingendo alla sua grande cultura e al mito greco che tutto ha spiegato con fantasia e invenzioni rare.

“La mitologia, dice ancora Alda Merini, questo continuo paragonare le nostre passioni a quelle degli dei, questo ridere delle nostre disgrazie e delle povertà naturali, questo essere folli, questo essere prigionieri di qualcuno, io della pazzia della porta accanto e tu della legge….”

Ed ancora abbiamo, con queste citazioni, voluto dire quanto la nostra poetessa riesce a comunicare i suoi sentimenti attraverso un linguaggio forbito che sa manovrare e attraverso la sua formazione classica.

E’ vero che poeta si nasce ma senza gli strumenti formativi mati da un grande impegno di studio si può al massimo diventare ‘poetastri’ o ‘cantastorie’ di piazza.

La poesia è volo, è canto, è musica e nessuno può scrivere sinfonie se non conosce le note.

E giustamente la Cedrini scrisse, a proposito della poesia della Maffey che : “La Poetessa lascia che le parole si facciano onde tumultuose che si adagiano sulla riva dopo avere attraversato mari in tempesta”. E ancora:

“La scansione temporale, imbevuta di colti retaggi, si dissolve fino a fondere segno e realtà. Le parole si piegano come spighe di grano al volubile gioco  che l’amore guida…”

La forma di poema che la Poetessa ha voluto dare alla sua opera è molto impegnativa e qualche volta ci si può trovare in qualche allentamento di tensione, ma sono attimi dovuti al fatto che c’è, in un poema, qualche momento in cui bisogna prender fiato.

Per il resto dobbiamo dire che ci troviamo dinanzi a una poesia lucida, viva, problematica che raggiunge livelli inusitati a cui la stessa Maffey ci ha abituati con le sue opere precedenti in cui esprime la sua esigenza insopprimibile di cantare la sua gioia e il suo dolore:

Lasciate che io canti

Sarà quello d’un usignolo dalle ali spezzate

Dalla voce roca, struggente

Dalle note perdute

Nel solitario cielo

Pezzato di malinconie.

E noi siamo qui pronti ad ascoltare il suo canto

“d’un amore folle

Folle e impossibile.

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Gaspare Agnello

Agrigento,lì 24.1.2012