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Margherita Rimi è nata a Prizzi in provincia di Palermo, si è laureata in Medicina presso l’Università di Palermo conseguendo la specializzazione in Neuropsichiatria infantile. Svolge la sua attività professionale alle dipendenze dell’ASP di Agrigento.

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La sua ragion d’essere è la poesia, attraverso cui esprime il suo mondo, le sue problematiche, le sue ansie, il senso della vita, se la vita ha un senso.

Ha pubblicato diversi volumetti ed è presente in molte antologie e in riviste letterarie. E’ stata recensita da importanti critici letterati tra cui Lucio Zinna, Maurizio Cucchi, Giacomo Bonagiuso, Giammarco Lucini, Guido Miano, Nuccio Mula, Marilena Renda Gregorio Napoli, Marco Scalabtrino, Giovanni Nuscis.

E’ stata prima assoluta al Premio Astrolabio di Pisa nel 2009 e al Premio Gamondiopoesia a Castellazzo Bormida nel 2006, si è classificata al terzo posto al Premio Laurentum di Roma nel 2009, ricevendo il premio dalle mani del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta. E’ stata segnalata in diversi premi nazionali tra cui il Lorenzo Montano di Verona, il Premio Pascoli di San Mauro Pascoli e così via.

Le raccolte di poesia più significative che ha pubblicato sono “Traccia di inferiorità”con la casa editrice Cultura2000 del 1990 “Per non inventarmi” per i tipi della Kepos del 2002 e “La cura degli assenti” per i tipi della casa editrice “Lieto colle” del 2009”.

Nella prefazione al volume “La cura degli assenti” il poeta e critico Maurizio Cucchi scrive: “ E’ una parola arcaica e ricca di energia, quella di Margherita Rimi. Una parola spesso ruvida, che si incide e affonda anche nel prevalente verso breve o brevissimo, che trova qui una piena giustificazione nello scandirsi faticoso e senza automatismi letterari della sua pronuncia…Ed è una parola che arriva subito, che comunica con forza perché dice cose essenziali, nella sobria concisione estrema dei suoi modi… un’opera di sostanza, in costante tensione, capace di arrivare al cuore della cose con una felice asprezza espressiva”.

E Marilena Renda nella prefazione al libro “Per non inventarmi” così scrive: “La pronuncia poetica della Rimi si muove spesso tra gli estremi contrapposti dell’esperienza femminile, ovvero distanza e prossimità, inclusione ed esclusione, ragione e sragione, giorno e notte, andare e ritornare, perdere e acquistare, ma anche- ed è una delle dicotomie più significative – TRA FERTILITA’ ED INFERTILITA’- ed è un’antitesi che si traduce infine nell’immagine solitaria, ciclotomia luna, del “ventre incoerente”, e quindi nel groppo semantico dell’amore infecondo”.

Noi diciamo subito che la poesia della Rimi è una poesia alta, che usa un linguaggio raffinato e molte volte di difficile accesso come le tematiche che tratta. A proposito ci sovviene il gruppo degli avanguardisti del 63 che ebbe tra i fondatori Sanguineti e a cui abbiamo  contestato la difficoltà del suo linguaggio.

Alla poesia di Margherita Rimi si può adattare con esattezza quanto scritto dal critico Francesco Orlando nel suo libro “La doppia seduzione”. Scrive Francesco Orlando: “I versi che aveva scritto e fece leggere a Mario non erano proprio ermetici eppure tutte le cose evocate restano nel vago. Mario lo interrogò per capire se è necessario così in poesia moderna. E’ facoltà del poeta, rivelò Ferdinando avendoci riflettuto sopra, sapere solo lui di che cosa si parla, e nominare suggestivamente questo invece di quello”.

“Ermetica ma non sperimentale, scrive Fabiano Alborghetti. La scarnificazione della parola succede infatti arrivando al cuore del fatto senza volumi che possano offuscarne l’esattezza. E’ una sintassi bene studiata con tratti di spontaneità potente, è coscienza così come delirio”.

Delirio appunto di una tematica terribile della nostra vita che è senza perché e senza speranza: manca pure una croce cui aggrapparsi e gli altari sono senza preghiere perché manca la fede e siamo tutti perdenti e incapaci di abbracciare anche se abbiamo lunghe braccia.

Ci sono, nella poesia della Rimi sogni infiniti non realizzati, una grande paura di vivere, la immensa solitudine dell’uomo che vive di soliloqui.

La vita vista come una partita di scacchi dove incombe la solitudine e l’uomo va girovagando per il mondo trovando forse rifugio sulla luna.

E’ una poesia drammatica e senza sbocchi quella della Rimi:

Non si muove

più niente

tutto è

in una foglia

già morta.

Mi distendo…

Mi prendo cura

Di non inventarmi.

Ma perché inventarsi, perché vivere se manca pure una croce, la fede e gli altari sono senza preghiere?:

Cosa abbiamo creduto

Lasciata in piedi

Non so più ricadere

Né rincorrere

Una croce che manca

 

Inizio come te

Sdottrinata

Muta a dondolare.

___

Giorno che non è giorno

Notte che si ribella

Nel luogo disabitato

Non toccare più niente

Altare di un silenzio

Che si riposa da preghiere.

Certamente l’altare si riposa dalle preghiera perché c’è la mancanza di fede

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Né alla vita

Né alla morte

Questo posare impervio

E SENZA FEDI

Scavato nelle ombre

 

Assistita dal mio silenzio

Indivisa

Ho bisogno di ceneri

Ceneri

Sole.

E tutto questo perché c’è la solitudine nel cuore degli uomini:

Avanzi di giornata

Questi occhi che non vedono più

Oscurità che mi consola

Ho tradito le mie risposte

Sono sola

E necessaria

Cambiata

Perdonata.

^^

Giorni

Che troppo

Si assomigliano

Che scompigliano

Vetrate.

E tutto questo porta alla paura di vivere in mal giocati amori, in sogni infranti da malcurati amori.

Forse è la contraddizione della vita:

…Mi volevi

Quello

Che non potevo essere.

Oppure:

Non mi volevi

Quello

Che potevo essere.

Ed ancora:

Quello

Che non poteva essere

 

Lasciato lì

Solo

E di nessuno

Impensato

Sconsiderato.

Pur tuttavia non si può dire che la poesia della Rimi sia tutta nera e senza barlume di speranza.

Se si sa cercare, se la si legge attentamente in questa partita a scacchi si trovano gli elementi della vita:

“Non abbandonarmi” invoca la poetessa e vuole trovare l’invenzione di una nuova vita nelle “parole” e

“ad un passo

Dalla tua indecisione

Rischio,

Imprecisa

Sul tuo corpo indelicato

Sul mio  poco ritrovato amore.

Forse in queste poesie troviamo la sinfonia di amori perduti, amori sfiorati e non giocati, delusioni di una umanità inumana, il desiderio di un mondo pieno di amore vero, di uteri fecondi, di braccia che possano veramente abbracciare, di labbra che sappiano baciare.

Paradossalmente dalla poesia della Rimi si può dedurre che la vera vita può fondarsi solamente sull’amore:

Adesso

Nell’aria

Tremano

I ritorni

Non certi

Di essere

Andati.

A questo punto mi piace concludere con una poesia di Majakoski che si adatta al nostro discorso:

Ascoltate,

Se accendo le stelle,

vuol dire che qualcuno ne ha bisogno

vuol dire che è indispensabile

che ogni sera

al di sopra dei tetti

risplenda almeno una stella?

Certamente ognuno di noi ha bisogno di vedere, nella sua vita, una stella che risplende in cielo e che ci guida lungo il corso impervio della vita

Agrigento,lì 21.5.2010

Gaspare Agnello