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IL LIBRO DI VALERIO MAGRELLI SUL PADRE MORTO. Ottantatrè piccoli capitoli per raccontare un «pessimista praticante» di GIOVANNA GIORDANO, La Sicilia, 31 Luglio 2013.

Inizia con un carillon di cucchiaini da caffè e le bare aperte di famiglia il nuovo libro di Valerio Magrelli, “Geologia di un padre”, pubblicato da Einaudi. E’ un inizio scortese, che sembra un invito a non andare avanti ma poi il libro diventa molto dolce.

Qui si racconta del padre morto del poeta in ottantatre piccoli capitoli, tanti quanti sono gli anni della vita dell’ingegnere Magrelli, uomo facile all’ira, «un pessimista praticante» «che non padroneggia la realtà» e che spara con un fucile giocattolo alla luna. «Una matassa di storie» affidata prima a piccoli fogli di carta che galleggiano sulla scrivania di Valerio Magrelli e poi riavvolti insieme.

Spezzoni e spezzatini di famiglia che ricordano un po’ “Lessico famigliare” di Natalia Ginzburg, ma lì c’era un’aria di apologia. Qui no, c’è come il desiderio di spogliare il padre strato dopo strato da retorica e ingenue nostalgie.

valerio-magrelli

Qualche pagina è un tuono, altre “un pic
nic sul vulcano”, ovunque la voglia di graffiare
ma anche di ridere. Come il racconto
del lupo mannaro o della nonna-sigarillo,
o di una tecnica di origine russa che «trasforma
le ceneri degli estinti in diamanti
di circa un carato».

Quant’è ingombrante
un padre, per un figlio, quando la sua personalità
è forte. Quando muore da giovane
è forse come una stella cadente, da
vecchio è carta che si smagnetizza. “La
vecchiaia è droga: fungo allucinogeno”
che tutto trasforma e quel padre che da
giovane aveva i capelli di David Niven, va
invece alla deriva nel continente Parkinson.

E poi le domeniche dell’infanzia avvolte
dalla noia e gli spostamenti in macchina,
«vera e propria camera iperbarica
per la coltivazione del rancore» e i suoi disegni
così forti nelle ombre. Eppure suo
padre «splendeva di gioia per così poco, il
poco che sempre ci inebria», gli dà solo
uno schiaffo in tutta la sua vita e lentamente
introduce il figlio al mondo di carta,
forse ancora il migliore dei mondi possibili.

Quando muore il padre il momento
peggiore non è la sua morte ma il contorno,
quella pelle che diventa lucida e la
malattia che sfarina. «Mio padre, un bel
giorno, salpò. Mi saluta da lontano, io rimasto
a riva. Lo vedo, mi vedrà, ancora per
poco. Saluta e sorride, si imbarca». Verso
un altro continente che non è più vita ma
non è ancora morte.

E così il senso di abbandono
perché il figlio perde il padre, sì
ma anche il padre che muore perde il figlio
che rimane nel mondo. Poi il figlio rimasto
orfano si chiede quanto invece resta a lui
da vivere. «Mi vengono le vertigini solo a
pensare a quante ore ho passato alla posta,
in banca, negli studi medici, a quanti minuti
ho speso per cercare, ogni giorno il telecomando
nascosto. (…)

Ecco perché io
ora sono mio padre, e grido sotto tortura,
reagisco a chi mi sottrae l’Essere-in-Vita,
uno fra i beni più preziosi e rari». Parole
che sono tuoni e non lacrime di tutti.

giovanna-giordano
www.giovannagiordano.it