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Edoardo Parlato è un narratore che certamente scrive per se stesso e per alcuni amici che hanno la fortuna di avere i suoi libri. “Don Liborio” è il suo terzo romanzo che è ambientato nella sua Sicilia, una Sicilia remota con un uomo d’altri tempi, Don Liborio, che rifiuta il progresso restando legato alle tradizioni, al suo piccolo mondo da cui non è mai uscito: “un uomo schietto e semplice che il paese aveva visto nascere e morire”.

Don Liborio è la gazzetta del suo paese; il suo balcone diventa il palcoscenico di quel mondo antico da dove racconta e commenta i fatti salienti accaduti in paese.

Tante storie antiche ma anche attuali, tante situazioni che ci coinvolgono e ci fanno conoscere un mondo non del tutto scomparso.

La descrizione della siccità in Sicilia è sempre attuale perché noi viviamo stagioni intere senza una goccia di pioggia. Può capitare che da aprile a settembre le nostre contrade restino senza una goccia di acqua: “Ovunque  i raggi solari erano lì a seminare giorno dopo giorno una calura così intensa da provocare alla terre crepe tanto profonde da farla apparire una crosta fatta da innumerevoli quadrati simili a volti imploranti. Per i contadini era un continuo evocare la pioggia, ma questa, non solo non veniva ma, come a voler fare dispetto, andava a scaricare il suo prezioso liquido dove non ve ne era necessità”.

Dal balcone di Don Liborio” apprendiamo storie varie di vita paesana che sono storie di costume.

Ricoverare un genitore in una casa di riposo, per Don Liborio, era uno scandalo perché resisteva in paese il concetto di famiglia patriarcale. Oggi la società moderna non consente di tenere il vecchio, anzi l’anziano, genitore in casa perché tutti sono presi dal lavoro e dalla vita moderna per cui il ricovero dei genitori può accadere senza alcun trauma.

Don Liborio si ribella a questa concezione e quando vede che la Zia Santa, che aveva tre figli, è inviata nella casa di riposo, si ribella, non perché retrogrado, ma perché capisce “quanto è importante per i giovani vivere a contatto con gli anziani per discutere e confrontarsi con loro. E’ quell’età diversa che incita e illumina sapientemente il cammino di chi l’inizia a percorrere, che dà equilibrio e significativi riferimenti, che dà un senso all’esistenza. Se allontaniamo gli anziani, non facciamo che isolare i ragazzi creando degli orfani nello spirito e nei valori”.

I nipoti racconta Don Liborio “attaccati com’erano alla loro nonna, sono stati i soli a far sentire il loro grido di protesta e a condannare la decisione dei propri genitori. Quest’urlo lanciato dai giovani mi fa ben sperare”

Don Liborio sente l’urlo dei giovani e lo sentono i familiari che riportano la Zia Santa a Casa.

“Avete visto, dice Don Liborio, che non sono più solo a battermi contro i mulini a vento? Questo è il solo principio…il principio che farà grande il mio esercito”

In fondo questo Don Libro non è un uomo che si batte contro il progresso, è uno che capisce il mondo e vuole tenere duro su certi valori.

Capisce il prete e la monaca che lasciano gli abiti tali e s’involano per vivere il loro amore. E’ uno scandalo per il paese ma Don Liborio capisce:

“In un certo senso capisco il vostro stato d’animo rimasto sconcertato per avere appreso che un prete e una monaca hanno abbandonato l’uno il sacerdozio e l’altra la regola dei voti per crearsi, lontano da questa comunità, una loro famiglia nel segno dell’amore. Quello che non condivido è il vostro senso di ostilità e di condanna….

…Il fatto che si sono innamorati e che hanno avuto il coraggio di manifestarlo, chissà dopo quante sofferenze patite, dev’essere un punto a loro merito e non un motivo per crocifiggerli”.

Don Liborio, da uomo di paese, sente l’orgoglio del successo dei propri compaesani ed esalta le gesta di Vincenzino che, in una corsa ciclista, surclassa Coppi e Bartali e vince una gara sulle dure montagne. Sembra che Edoardo Parlato sapesse delle gesta del messinese Vincenzo  Nibali che sta onorando la Sicilia nel giro di Francia, dimostrandosi campione di grande levatura.

Questo, però, è un inciso perché per lo scrittore Parlato la questione è tutta intorno al progresso e alla sostenibilità del progresso che aggredisce la natura e porta il mondo alla sicura distruzione.

“Finalmente, avete pronunciato la parola distruzione. Mi fece di rimando Don Liborio. Mi ero convinto che vi foste scordato di ricordarvi che il progresso è anche questo. Armi e veleni che uccidono intere masse non possono che rappresentare il lato peggiore. Quegli stessi veleni, anche se diversi nella composizione, già stanno invadendo le campagne e tutto ciò che di buono si produce arriva contaminato alle nostre tavole….”

“….vedrete che quando vi accorgerete che in nome del progresso l’uomo starà per distruggere il suo ambiente e quindi se stesso, saranno in molti ad affiancarsi a quelle che sono e sempre saranno le mie idee”.

Già cI accorgiamo del disastro ambientale che sta distruggendo la salute degli uomini. Oggi si vive sotto l’incubo del tumore e non c’è famiglia nel mondo ‘progredito’ che non sia stata toccata dal dramma tremendo di questo male che stronca vite di bambini, di giovani, di donne, di vecchi.

Sono scomparse le ‘lucciole’ diceva Pasolini e Sciascia si consolava che ancora qualcuna la vedeva alla Noce.

Io ogni tanto le vedo nel mio giardino o al Parco della Valle dei Templi dove non si buttano veleni, ma sono sporadiche eccezioni che si verificano nella oasi naturali. Purtroppo la terra è coperta da diserbanti che uccidono  i grilli, le farfalle e ogni tipo di insetti, la frutta viene irrorata con veleni, le serre sono il regno dell’avvelenamento, le scorie radioattive stanno infettando il mondo.

Però nessuno vuole tornare indietro, nessuno farebbe a meno del telefonino o della macchina quindi dobbiamo rassegnarci a questo terribile stato di cose e il nostro Eduardo Parlato dovrà capire che resterà a guerreggiare da solo come Don Chisciotte.

A questo punto ci corre l’obbligo di dire che l’anziano Parlato è un buon narratore anzi un ‘cuntore’che sa usare con maestria la lingua e che ci somministra con giudizio espressioni siciliane senza eccedere: “andare a letto presto come le galline” oppure “la pasta si ammataffa”. Sono piccoli segni che ci riportano alle nostre origini e poi da buon girgintanu, e quindi figlio di Pirandello, sa usare ‘l’umorismo’. Quando si preparano i funerali di Don Liborio, la voce narrante parla con il morto e gli dice: “Credetemi, cose in grande sono state fatte! Persino la vostra vedova, ritratto inconsolabile, è riuscita a sorridere quando il sindaco in persona le disse che i fondi del comune avrebbero provveduto a coprire le spese”. Almeno la vedova “piange con un occhio” si direbbe in Sicilia.

E quando gli parla della sontuosità dei funerali gli dice: “Avreste dovuto vedere l’invidia di certuni! Dalle loro espressioni si capiva che se fosse stato possibile avrebbero preso volentieri il vostro posto”.

Piuttosto le discettazioni ‘filosofiche’ sul progresso e sull’inquinamento non rendono pienamente i concetti dello scrittore che dà l’impressione di essere un ‘retrogrado’, un uomo d’altri tempi, contro il progresso ad ogni costo, cosa che in effetti non è, come ho dimostrato con la mia recensione sottolineando i passi più consoni alla tematica del libro.

Alla fine però voglio dire una cosa e cioè che quando mi è arrivato il libro, ne stavo leggendo altri di autori di grido e, come preso da magia, li ho lasciati e mi sono accompagnato a Don Liborio che mi ha tenuto buona e gradevole compagnia per un paio di sere  nella mia fresca terrazza di San Leone.

E’ vero che non bisogna farsi ingannare dalla gran cassa della pubblicità delle case editrici e che bisogna trovare le cose buone della letteratura negli angoli più impensati di un mondo silenzioso e anonimo che ha voglia di ‘cuntari’ e ‘’cantari’.

Agrigento, l’ 20.7.2014