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E’ da un anno che tengo sul mio comodino l’enciclica papale “Laudato si’”. L’ho letta due volte e poi, l’ho sottolineata quasi tutta, ho riletto i brani che più mi hanno colpito, ma non ho trovato la forza di sedermi per recensirla perché mi si sono accavallati nella testa mille pensieri e ho provato un senso di sconvolgimento perché in essa ho trovato tutto quello per cui , come socialista, ho lottato per tutta la mia vita e forse ho trovato molto di più perché questi pensieri trovano la loro fonte nei libri sacri interpretati in chiave moderna e direi rivoluzionaria, come non mi sarei aspetto. In verità una prima scossa l’ho avuta con la “Caritas in veritate” che è un’enciclica rivoluzionaria.

Ratiznger con la sua enciclica, si rifà costantemente alla “Populorum Progresso” di Paolo VI e alle altre encicliche quali la “Pacem in terris”, la “Mater et Magistra”, la “Laborem Exercens, la “Sollecitudo rei socialis”, la “Centesimus annus” e ai documenti del Concilio Vaticano II.

Dice che se lo sviluppo è il portato del profitto solamente allora questo crea disparità sociali e nuove povertà ed ecco quindi che  introduce il concetto della redistribuzione del reddito e del ruolo positivo che lo Stato deve esercitare nel mondo dell’economia che non può essere affidata solamente al mercato. L’Enciclica entra nella problematica della precarietà, della ripercussione che la precarietà ha sulle famiglie che devono poter contare su un lavoro stabile. Tutti gli uomini sono figli di Dio e tutti devono avere il diritto di godere dei beni che Dio ci ha dato. Quindi l’Enciclica di Papa Ratzinger parla dell’ambiente e della sua tutela, dello sviluppo sostenibile, delle aziende etiche, del no profit, della sussidiarietà, della cooperazione, del lavoro, della centralità dell’uomo, della finanza dei prodigi

Ratzinger avverte che l’uomo ha la natura ferita dal peccato originale e quindi è incline al male per cui  niente può essere lasciato al volontariato e tutto deve essere regolato tenendo presenti le esigenze dei più deboli e degli esclusi.

Tutte queste tematiche ad altro, sono espresse nell’Enciclica “Caritas in veritate” nella quale si ritrovano moltissimi elementi tipici delle socialdemocrazie occidentali.

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Papa Francesco conferma tutti questi concetti con un linguaggio meno diplomatico e più incisivo e va oltre.

L’Enciclica di Francesco nasce per tutelare l’ambiente ma poi diventa un’enciclica sociale perché si capisce chiaramente che la mancata tutela dell’ambiente è collegata alle scelte di natura economica, allo sviluppo non controllato, alle scelte tendenti solo al profitto e alla sua massimizzazione.

“Quando parliamo di ambiente facciamo riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Le ragioni per le quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del funzionamento della società, della sua economia, del  comportamento della società, dei suoi modi di comprendere la realtà…

…Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa  crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura…..

…Occorre ricordare che gli ecosistemi intervengono nel sequestro dell’anidride carbonica, nella purificazione dell’acqua, nel contrasto di malattie e infezioni, nella composizione del suolo, nella decomposizione dei rifiuti e in moltissimi altri servizi che dimentichiamo o ignoriamo. Quando si rendono conto di questo, molte persone prendono nuovamente coscienza del fatto che viviamo e agiamo a partire da una realtà che ci è stata donata, che è anteriore alle nostre capacità e alla nostra esistenza. Perciò quando si parla di uso sostenibile bisogna sempre introdurre una considerazione sulla capacità di rigenerazione di ogni ecosistema nei suoi diversi settori e aspetti”.

“Il clima, scrive Francesco, è un bene comune, di tutti e per tutti. Esso, a livello globale, è un sistema complesso in relazione con molte condizioni essenziali per la vita umana. Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico. Negli ultimi decenni tale riscaldamento è stato accompagnato da costante innalzamento del livello del mare e inoltre è difficile non metterlo in relazione con l’aumento degli eventi metereologici estremi…Ha inciso anche l’aumento della pratica del cambiamento d’uso del suolo, principalmente la deforestazione per finalità agricole”.

“I cambiamenti climatici danno origini a migrazioni di animali e vegetali che non sempre possono adattarsi, e questo a sua volta intacca le risorse produttive dei più poveri, i quali pure si vedono obbligati a migrare con grande incertezza sul futuro della loro vita e dei loro figli” e creando problemi, aggiungiamo noi, nei paesi di immigrazione dove i costi di tali fenomeni non sono più sostenibili.

“Molti sintomi indicano che questi effetti potranno essere sempre peggiori se continuiamo con gli attuali modelli di produzione e di consumo”. Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere e che i nostri figli non potranno vedere.

“L’acqua tende a scarseggiare e quella poca che abbiamo viene inquinata da un sistema produttivo selvaggio che tende solamente al profitto e in alcuni luoghi avanza la tendenza a privatizzare questa risorsa scarsa, trasformata in merce soggetta alle leggi del mercato. In realtà, l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio di altri diritti umani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare a essi il diritto alla vita radicato nella loro inalienabile dignità”. “A questo si aggiunge l’inquinamento che colpisce tutti, causato dal trasporto, dai fumi, dell’industria, dalle discariche di sostanze che contribuiscono all’acidificazione del suolo e dell’ACQUA, da fertilizzanti, insetticidi, fungicidi, diserbanti e pesticidi tossici in generale. La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri”.

Oggi l’economia cerca il profitto rapido e facile anche a costo di distruggere l’ecosistema. Esistono infatti  “proposte di internazionalizzazione dell’Amazzonia, che servono solo agli interessi economici delle multinazionali”.

In questo contesto anche i mari e gli oceani soffrono l’inquinamento e si rischia di uccidere la vita multiforme e importante che in essi si svolge. Per la pesca si usa il cianuro e la dinamite; si fa la pesca a strascico e quindi si impoverisce una grande risorsa di vita per l’umanità.

I contadini vengono sradicati dalle campagne  e portati a vivere nelle grandi città dove trionfa la cementificazione, l’asfalto, il vetro e i metalli, privandoli del contatto fisico con la natura. Ed ecco i frequenti suicidi che avvengono in Cina, l’aggressività sociale, il narcotraffico e il consumo di droghe.

Le grandi metropoli costruiscono quartieri da sogno e ghettizzano gli ultimi che diventano “GLI SCARTI DELLA SOCIETA’” moderna.

Le coscienze vengono addormentate dai media e dal mondo digitale che crea una specie di “INQUINAMENTO MENTALE”.

E’ chiaro, dice l’Enciclica, che gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li subisce la gente più povera. “ L’esempio delle risorse ittiche penalizza specialmente coloro che vivono della pesca artigianale e non hanno come sostituirla, l’inquinamento dell’acqua colpisce in particolare i più poveri che non hanno la possibilità di comprare acqua imbottigliata, e l’innalzamento del livello del mare colpisce principalmente le popolazioni costiere impoverite che non hanno dove trasferirsi. L’impatto degli squilibri attuali si manifesta anche nella morte prematura di molti poveri, nei conflitti generati dalla mancanza di risorse e in altri problemi che non trovano spazio sufficiente nelle agende del mondo”.

Ecco che si pone il problema degli esclusi che sono la maggior parte della popolazione mondiale. Il grido della terra diventa il grido dei poveri: il problema ecologico diventa problema sociale. Il riscaldamento della terra, prodotto dai grandi consumi dei paesi ricchi, si ripercuote nei paesi più poveri, nei paesi sottosviluppati che non inquinano e che invece sono derubati delle loro ricchezze. ‘La terra dei poveri del sud è ricca e poco inquinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perverso’.

E’ il “mercato divinizzato”  che diventa regola assoluta e regola il mondo. E quindi la natura è vista unicamente come oggetto di profitto e di interesse. Se, abbattendo una parte della foresta Amazzonica, si ricava un grosso profitto immediato, a nessuno interessa il danno ecologico che si crea  all’ecosistema e all’umanità intera.

L’Enciclica a fronte di questa concezione capitalistica ed edonistica, contrappone la sua concezione cristiana affermando che “Dio ha creato il mondo per tutti. Di conseguenza, ogni apporto ecologico deve integrare una prospettiva sociale che tenga conto dei diritti fondamentali dei più svantaggiati. Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una regola d’oro del comportamento sociale. La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. San Giovanni Paolo II ha ricordato con molta enfasi questa dottrina, dicendo che Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno… Questo mette in discussione le abitudini ingiuste di una parte dell’umanità…Il ricco e il povero hanno uguale dignità, perché il Signore ha creato l’uno e l’altro, egli ha creato il piccolo e il grande e fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni”. Per cui “ Ogni cittadino ha diritto naturale a possedere un appezzamento ragionevole di terra, dove possa stabilire la sua casa, lavorare per il sostentamento della sua famiglia e avere sicurezza per la propria esistenza”.

“L’ambiente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza degli altri. Per questo i Vescovi della Nuova Zelanda si son chiesti CHE COSA SIGNIFICA IL COMANDAMENTO ‘NON UCCIDERE’ QUANDO ‘UN VENTI PER CENTO DELLA POPOLAZIONE MONDIALE CONSUMA RISORSE IN MISURA TALE DA RUBARE ALLE NAZIONI POVERE E ALLE FUTURE GENERAZIONI CIO’ DI CUI HANNO BISOGNO PER SOPRAVVIVERE”

Quindi secondo i Vescovi della Nuova Zelanda si può anche uccidere quando ti rubano il necessario per vivere? E forse l’accettazione del principio marxiano della lotta di classe?

Certamente questo concetto che Papa Francesco ha voluto riportare nella sua Enciclica  apre nuove prospettive alla lotta che gli uomini devono sostenere per potere conquistare il diritto a una esistenza dignitosa ed è foriero di intese tra forze diverse per raggiungere il bene comune.

Oggi i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Il potere si concentra in poche mani.

L’energia nucleare, la biotecnologia, l’informatica, la stessa conoscenza del DNA offrono un potere sterminato che si concentra in poche mani. Basta ricordare quello che è avvenuto nel XX secolo quando l’atomo è stato usato come mezzo di sterminio. Oggi un uomo solo ha in mano le chiavi per potere distruggere l’umanità intera. L’uomo ha la possibilità di usare male la sua potenza anche perché non esistono norme di libertà, ma solo pretese di utilità.

“Occorre riconoscere che i prodotti della tecnica non sono neutri, perché creano una trama che finisce per condizionare gli stili di vita e orientano le possibilità sociali nella direzione degli interessi di determinati gruppi di potere”.

“Il paradigma tecnologico tende a esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni  sviluppo tecnologico in funzione del PROFITTO, senza prestare attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale”.

“La semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica. L’attività imprenditoriale, che è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, può essere un modo molto fecondo per promuovere la ragione in cui colloca la sua attività, soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune”.

Si sostiene che i problemi della fame e della miseria del mondo si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato. Il mercato, si sostiene, risolverà tutti i problemi di giustizia. Invece li aggrava per cui deve intervenire lo Stato per ridistribuire il reddito e creare le condizioni dell’acceso di tutti ai beni prodotti, significando però che non è sostenibile la crescita illimitata perché questo, a lungo andare, crea le condizione per la distruzione dell’ambiente. Bisogna cambiare stile di vita. Occorre abbattere la concezione consumistica della società capitalistica che è fomentata ad arte per produrre e consumare senza limiti e introdurre criteri di sostenibilità.

Certo non possono ritornare i cicli produttivi di una società contadina che portava a una vita quasi autarchica che si sostentava con i prodotti della terra, ma è necessario porre un freno alla crescita illimitata. I paesi ricchi devono accettare il nuovo concetto di “decrescita” per abbassare il tenore di vita e consentire a chi muore di fame di avere un maggiore sviluppo. Insomma una decrescita che tenderebbe a parificare le condizioni di vita di tutti gli uomini della terra.

Il concetto di decrescita di cui parla il Papa oggi è sostenuto da diverse organizzazioni che addirittura parlano di decrescita felice. La decrescita non sarà mai felice ma certamente sarà necessaria perché non si può continuare all’infinito a distruggere la natura, a inquinarla perché tutto questo si ritorcerà poi contro l’uomo che è costretto a consumare cibi avvelenati, acqua avvelenata dai pesticidi e inquinata dai processi produttivi. Il Papa non può indicare il come deve avvenire la decrescita ma sta alla politica governare l’economia e non viceversa come di fatto avviene. L’economia liberista e libertaria tende al successo, a privatizzare tutto, anche l’acqua, a distruggere le foreste  per fare profitto. Deve essere la politica a stabilire cicli produttivi compatibili con la conservazione dell’ambiente per le nuove generazioni.

Dal momento che il mercato, scrive Francesco, tende a creare un meccanismo consumistico compulsivo per piazzare i suoi prodotti, le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e delle spese superflue. Il consumismo ossessivo è il riflesso soggettivo del paradigma tecno-economico. Accade ciò che già segnalava Romano Guardini: L’essere umano ‘accetta gli oggetti ordinari e le forme consuete della vita così come gli sono imposte dai piani nazionali e dalle macchine normalizzate e, nel complesso, lo fa con l’impressione che tutto questo sia ragionevole e giusto’. Tale paradigma fa credere a tutti che sono liberi finché conservano una pretesa libertà di consumare, quando in realtà coloro che possiedono la libertà sono quelli che fanno parte della minoranza che detiene il potere economico e finanziario.

E qui Francesco ci dà alcuni consigli spiccioli di comportamento, ci invita alla conversione ecologica, alla sobrietà e all’umiltà. Ci ricorda i precetti del poverello di Assisi che è stato il primo grande difensore della natura, ci ricorda che siamo tutti figli di uno stesso padre, Dio, e che quindi siamo tutti fratelli.

“A ogni persona di questo mondo, dice Papa Francesco, chiedo di non dimenticare questa sua dignità che nessuno ha diritto di toglierle”.

A questo punto, dopo avere parlato ampiamente dell’enciclica riportandone ampi passi che ritengo fondamentali, vorrei fare alcune riflessioni di carattere politico che nascono certamente dalla mia formazione socialisteggiante in senso lato.

Io ho partecipato a diversi congressi provinciali, regionali e nazionali del Partito Socialista e della CGIL e oggi debbo ammettere che l’enciclica papale è molto più avanti di quelle tesi congressuali dell’ultimo cinquantennio del secolo scorso.

Il Papa in questa enciclica vuole difendere l’ambiente e capisce che per tutelare l’ambiente bisogna fare scelte economiche diverse, bisogna cambiare modo di produzione, mettere al centro dell’universo l’uomo, la sua dignità, il suo diritto al lavoro, il diritto a godere dei beni che Dio ha creato, quali la terra, l’aria che si inquina, l’acqua che si fa gestire al privato con il pericolo che il povero ne possa restare privo. Senza dire dei popoli del terzo mondo in cui uomini e soprattutto bambini muoiono perché bevono acqua inquinata.

Il Papa parla del surriscaldamento del pianeta, della desertificazione, dell’innalzamento del livello del mare e quindi del fatto che questi fenomeni colpiscono i popoli più poveri della terra che sono costretti a fenomeni di migrazioni di massa.

Quindi parla dei muri che i paesi ricchi alzano contro la povertà e contro i nostri fratelli di colore diverso.

I paesi occidentali accettano, in parte i rifugiati politici ( Gesù , Giuseppe e Maria sono stati emigrati perché perseguitati) e respingono gli emigrati economici, LO SCARTO, per rispedirli dove?

Ed ecco che Francesco predica l’accoglienza, una giusta politica verso il terzo mondo, la pace e la concordia tra tutti i popoli della terra bandendo tutte le guerre che insanguinano il mondo.

Francesco parla della dignità del lavoro e quindi dello sfruttamento, della tendenza alle privatizzazioni, del profitto selvaggio, del liberismo divinizzato, dello Stato asservito all’economia. Basti pensare al salvataggio delle banche con i soldi dei contribuenti.

Accenna al fatto che alcuni popoli non hanno la possibilità di rialzarsi e riporta un concetto dei vescovi della Nuova Zelanda che arrivano a giustificare la presa delle armi per combattere coloro che li tengono schiavi. Insomma entra dalla finestra il concetto di lotta di classe.

C’è di nuovo il concetto di decrescita che è imposto dalla situazione dell’ambiente che sta diventando una pattumiera avvelenata che quindi non dà più pane ma sparge i veleni di cui lo abbiamo riempito.

Ammette il Papa il progresso della scienza ma rifiuta la scienza al servizio del male. Le bombe atomiche di cui l’America si è servita, le bombe all’idrogeno, le armi chimiche, il traffico di armi convenzionali attraverso triangolazioni disoneste dei paesi industrializzati che vendono morte, devono essere bandite attraverso accordi internazionali.

Questa enciclica, la Caritas in veritate, e le precedenti possono rappresentare la piattaforma per un programma politico europeo e forse mondiale. Cosa divide a questo punto i socialisti dai cristiani e anche da altre religioni con le quali gli ultimi papi hanno dialogato? Con i socialisti nulla.

La differenza ideologica è con i marxisti che affermano il materialismo storico.

I marxisti affermano che il mondo è governato dall’economia mentre i cristiani affermano che il mondo è governato dalla divina provvidenza. C’è il problema del credere o del no credere in Dio e quindi il problema della fede.

Queste differenze ideologiche non sono superabili e certamente pesano in maniera pesante perché hanno riflessi sul modo di essere dell’uomo e della concezione della stessa economia che, dal marxismo viene divinizzata, anche se Gramsci attenuò questo concetto rendendolo più umano e più duttile.

Ma queste differenze ideologiche non possono certamente essere di impedimento per stilare un programma politico ed economico per la gestione del mondo ai fini di raggiungere il bene comune.

Ormai la globalizzazione non sopporta più le disparità economiche abbissali. La forbice oggi si allarga sempre di più. I poveri dell’Africa, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, notano la differenza del loro tenore di vita da quello dei paesi occidentali, sanno che grande responsabilità del loro sottosviluppo  è del colonialismo occidentale e quindi si sentono in diritto di invadere le nostre terre in cerca di un mondo migliore. Non hanno tutti i torti e nessuno potrà fermare questi flussi se non una più equa distribuzione della ricchezza del mondo tra tutti i popoli.

Le ultime encicliche papali, nel campo politico, non hanno prodotto grandi sconvolgimenti, né tanto meno i parroci di periferia si strappano i capelli per attuare questi principi e preferiscono il quieto vivere.

Le encicliche vengono presentate in conferenze elitarie e restano solamente strumenti di cultura per pochi eletti, mentre dai pulpiti non viene fuori il discorso rivoluzionario in esse contenuto, né cambia il modo di essere delle gerarchia per dare esempi di rinnovamento.

E’ compito di una sinistra moderna, dei giovani, dei religiosi di tutte le confessioni farsi paladini di questi concetti e lottare per la loro applicazione al fine di costruire un mondo più giusto, più eguale, un ambiente vivibile. La Chiesa ha individuato le grandi problematiche dell’umanità, ha dato le coordinate per la loro risoluzione, tocca alla politica agire.

Dopo queste encicliche ci sono, a mio avviso, le condizioni per creare un partito europeo cristiano-sociale capace di operare per cambiare il mondo che non può andare avanti con questi sistemi economici e ambientalisti.

In altri tempi sono sorti partiti cristiano-sociali ma non  hanno avuto fortuna perché mancavano i presupposti ideologici per un discorso comune tra forze diverse.

Oggi le nuove encicliche e i nuovi documenti conciliari creano le premesse per un discorso nuovo con probabili esiti positivi.

La Chiesa non può indicare le soluzioni dei problemi da essa posti, tocca alla politica, ai laici di fede e non, di stilare programmi capaci di creare un nuovo mondo, un modo diverso di produrre, di consumare, di vivere.

Sarà un sogno ma la politica deve far sognare, deve essere utopia e l’uomo, che dovrebbe essere figlio di Dio, ha il dovere di trasformare le utopie in realtà.

Agrigento, lì 24.11.2016

Gaspare Agnello