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La casa editrice di Palermo, il Palindromo ripubblica il libro di Angelo Petyx “Le notti insonni di Liillà che era stato pubblicato nel 1984 dalla editrice Todariana di Milano.

Il libro si impreziosisce di una dotta ed esaustiva introduzione di Salvatore Ferlita, che tanto ha studiato la letteratura dello scrittore di Montedoro, e di una postfazione della figlia dello scrittore che porta un grande contributo alla conoscenza dello scrittore e alla interpretazione del libro.

Angelo Petyx è nato a Montedoro il 2.11.1912. Rifiutò il fascismo e per questo non ha potuto insegnare. Chiamato alle armi viene inviato a Gaeta per insegnare ai reclusi, poi viene trasferito in Emilia e quindi inviato nel sud della Francia con la IV armata.

Dopo l’otto settembre del 1943 resta sbandato in Piemonte e poi finisce a Tarantasca in casa di un partigiano con il quale conduce azioni di disturbo contro i tedeschi.

Nasce un amore travolgente con la figlia del suo compagno di battaglia, un amore che dura tutta la vita e che cambia la sua esistenza.

Ritorna in Sicilia ma Lena non dimentica il partigiano siciliano e lo sposa l’otto settembre del 1948.

Petyx riprende l’insegnamento ma non abbandona la scrittura. Vittorini gli pubblica nel 1957, con la Mondadori, “La Miniera occupata” che fa dire a Geno Pampaloni :”Petyx si può considerare uno degli scrittori ‘nuovi’ più promettenti: un suo romanzo pubblicato recentemente da Mondadori e la cui lettura mi ha molto vivamente interessato e procurato ore di intenso godimento, lo ha rivelato narratore di sicura vocazione”.

Vittorini lo invita a trasferirsi a Milano “per il suo avvenire di scrittore” ma Petyx rifiuta per restare a Cuneo accanto alla sua famiglia.

Questa decisione influisce negativamente sulla sua carriera letteraria e quindi i suoi libri vengono pubblicati tutti da piccole case editrice che non riescono a raggiungere il grande pubblico.

Così avviene per il romanzo “Le notti insonni di Liillà” che è il capolavoro di Petyx, un libro che è un classico della letteratura italiana del secondo novecento.

Petyx è uno scrittore neorealista per necessità in quanto ha urgenza di narrare la realtà siciliana dei contadini e degli zolfatari e, attraverso questo spaccato, lanciare il suo grido di protesta contro un mondo ingiusto che opprime gli sfruttati che sognano un riscatto che deve essere propiziato da ‘Baffone’ il mitico Stalin a cui le genti affamate del mondo guardavano per la loro liberazione, sogno che si infranse con “La morte di Stalin” di Leonardo Sciascia.

Il libro di Petyx va oltre il neorealismo e diventa pittura, musica.

La vita del paese viene descritta con grande maestria e, come in un film, vediamo le vaneddre di un tempo con le donne davanti la porta che lavano la biancheria o puliscono le mandorle, che cuciono, o lavorano al tombolo, le galline che camminano; vediamo la sera le persone sedute davanti la porta a parlare e sparlare.

“Contro il muro a tramontana da Paolina, della Catalana, e di Naluggia, le galline si spollonavano il petto, le ali, guardavano davanti a sé inebetite, ubriache di luce, le vie erano deserte, corse dai buffi infuocati di scirocco; di quando in quando un cane traversava la strada, annusava questo, quel cantone, l’innaffiava d’orina e scompariva silenzioso come era comparso…” “…I pulcini, la zampetta sinistra sotto il pancino, spiavano a dritta e a manca”.

Petyx ci fa sentire sinfonie più belle di quelle di Mozart:  “Sul tetto dell’ospizio luceva il falcetto della luna nuova, brillavano a miriade le stelle, l’aria era piena dal gracidio delle rane, dallo stridio dei grilli e dei sospiri degli usignoli, dalle parti del mercato, il gufo non smetteva di mandare lagni”.

In questo contesto si muove lo zolfataro Filippo, Filì, chiamato Liillà che vive con una pensione di seimila lire concessagli per via dei suoi polmoni bruciati dal fumo della miniera.

Liillà vive una vita misera mangiando pane con sarde salate, non si può concedere un poco di carne né un bicchiere di vino e spera che il sant’uomo di Di Vittorio la vinca sul governo democristiano per fare aumentare le pensioni.

Liillà è povero, è un emarginato ma, come tutti i personaggi di Petyx, ha letto qualche libro, legge i giornali e questo lo rende diverso degli altri.

Anche se povero ama la vita e quindi ha paura della morte e qui il suo discorso sulla morte e sulla fede assume connotati filosofici che ci fanno conoscere la filosofia semplice dei diseredati di Angelo Petyx.

“Che cosa  meravigliosa lo spettacolo della vita perché, cos’è essa se non un grande, meraviglioso spettacolo”…. “La mia sventura è che, pur essendo solo, malato e povero, io sono disperatamente attaccato alla vita”….. “Niente è per voi la straordinaria, ineffabile visione di una donna come Anna La Cilia? Non sono niente le chiacchierate che ci facciamo al fresco nelle notti in cui non ha impegni con chi le chiede qualche ora di piacere? La speranza che il governo mi aumenti la pensione?…Come poter dire che la morte non toglierebbe nulla a uno come me?”

Liillà ha paura della morte e la notte non dorme. Non ha la consolazione della fede. “So io che per liberarmi dall’orrore, ossessione della morte, la via più sicura sarebbe la fede. Ma come faccio se questa fede non ce l’ho e non conosco la strada che vi conduce?”

“Altri si consolano che andranno in paradiso ma da milioni di anni l’uomo trapassa e mai nessuno che giunga di là per dire cosa ha visto, come si sta”.

Liillà vive questo terribile dramma che è il dramma del personaggio tolstoiano Ivan Il’ic, dell’ultimo Sciascia de “Il cavaliere e la morte”, del Principe del “Gattopardo”.

Petyx oltre a essere uno scrittore neorealista è, prima di Carver, un ‘minimalista’ ante litteram per cui la sua è la filosofia degli ultimi, dei diseredati che assurge a dramma di tutti gli uomini del mondo per cui possiamo affermare con certezza che questo libro ha valore universale e si pone accanto ai grandi testi della letteratura europea.

Quindi la ripubblicazione de “Le notti insonni di Liillà, che sarà presentato il 13 a Palermo e il 14 ottobre e Montedoro, è sicuramente un evento letterario che la cultura italiana deve saper valorizzare per rendere giustizia ad Angelo Petyx che non deve essere considerato un minore.

Del resto Teodoro Giùttari ebbe a scrivere: “ Angelo Petyx, comunque,  al di là di ogni appartenenza, è stato sempre indipendente, un solitario votato a un ideale d’arte e di scrittura, e il racconto Liillà (Liillà e altri racconti 1976)) divenuto poi il romanzo “Lo notti insonni di Liillà” (1984)  è uno dei suoi capolavori che, prima o poi, sarà riscoperto, se è vero, come la storia ci insegna, che la partita del dare e dell’avere finisce sempre con il quadrare”.

Agrigento, lì 4.9.2017

Gaspare Agnello