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Il 2021 segna un importante momento per i lettori e gli studiosi di Sciascia: ne ricorre il centenario della nascita. Ma è anche il centesimo anno della nascita di Antonio Russello, altro scrittore siciliano, con il quale il maestro racalmutese condivide, per un curioso paradosso, non pochi elementi.

Paradosso da ricercare nell’astio che divise i due scrittori, amaro frutto di un’incomprensione tutta letteraria: come riporta Gaspare Agnello ne «La terrazza della Noce. Ricordi di vita con Leonardo Sciascia» (p.18), Russello non capì la recensione che Sciascia aveva scritto al suo libro, «La luna si mangia i morti», interpretandola come una stroncatura, alla quale rispose con una sua aspra critica nel libro «Ragazze del Friuli».

Ecco quindi il paradosso: lontani in vita, distanti anche nello stile della scrittura, eppure vicini (paradossalmente vicini) in due loro testi: «La grande sete», pubblicato nel 1962, e «A ciascuno il suo», del 1966.

Infatti, ambedue i testi prendono ispirazione dallo stesso fatto di cronaca nera: l’omicidio del commissario Cataldo Tandoj, avvenuto ad Agrigento nel 1960, come ricorda il giornalista Felice Cavallaro, nel suo libro «Sciascia l’eretico. Storia e profezie di un siciliano scomodo», dove precisa che la pista del delitto mirato, legato a indagini che coinvolgevano mafia e politica, fu abbandonata in favore di quella passionale, relativa a un fatto di corna (p. 88 e segg.)

Ed è proprio l’intreccio di passione e di morte che lega, tematicamente, i due libri: alla passione corrisponde la scrittura di un personaggio femminile di grande bellezza, se non di conturbante sensualità; alla morte la trama degli omicidi, che culmina, nei due libri, con l’uccisione del commissario Righi, e del professore che veste i panni dell’investigatore, Laurana.

Ma le somiglianze che accomunano i due testi sono così personalmente declinate sul piano dello stile, da prestarsi ad una lettura contrastiva, più funzionale a cogliere le differenze all’interno delle uguaglianze (altro paradosso), che non il contrario: ad esempio, la figura della donna. Ne «La grande sete», Maria Gloria Righi, la bellissima moglie del commissario, è distante anni luce dalla costruzione del personaggio femminile della vedova Roscio, in «A ciascuno il suo»: alla prima, ad esempio, lo scrittore Russello riserva ampi spazi narrativi, dove la donna non compare solo come oggetto dell’altrui osservazione, come personaggio che subisce il focus narrativo per mezzo di altri personaggi; infatti, Maria Gloria Righi è si oggetto di desiderio, ma è anche persona che desidera e al suo modo di vedere e vivere le cose lo scrittore dà voce: questa donna è anche protagonista dell’azione e al lettore è dato modo di poter conoscere i suoi pensieri e si suoi turbamenti; quindi è oggetto dell’altrui attenzione, ma anche soggetto dell’azione (si veda ad esempio il cap. IV de «La grande sete», pp. 53-64, dove il lettore legge gli eventi partendo dall’osservazione della donna).

Nel romanzo «A ciascuno il suo», con la vedova Roscio le cose cambiano: in primo luogo, la donna compare sempre attraverso l’altrui vista; il personaggio non ha mai uno spazio proprio, dove agisce da protagonista, dove al lettore viene concesso di conoscerne i pensieri e le impressioni. Ogni gesto della donna, ogni sua azione è sempre riferita da chi la osserva, dal professore Laurana in particolare. Questo espediente narrativo crea un corto circuito fra il lettore e la donna della vicenda, negando la possibilità di creare un’immedesimazione. Probabilmente questa scelta narrativa è funzionale alla realizzazione del mistero e della cupa sensualità che intorbidiscono le ricerche dell’improvvisato investigatore, lo sprovveduto professor Laurana: il mistero nasce attorno ad una figura narrativamente in-conoscibile; la cupa sensualità dagli effetti che la donna causa in chi la osserva. Infatti, questo personaggio rappresenta un elemento osservato, ma inosservabile dall’interno, così si viene a creare una curiosa situazione, per cui la figura che più attira l’attenzione dei personaggi della vicenda è ad un tempo quella su cui il lettore sa di meno: strategia ferocemente efficace, utile alla costruzione di una storia che al racconto poliziesco fa da parodia (credo abbia valore programmatico in tal senso il cap. VII, in particolare p. 52).

Nell’analisi che stiamo conducendo, non vanno dimenticati i preziosi contributi alla riflessione del ruolo del matriarcato nella scrittura di Sciascia e che spiegano il ruolo delle donne anche nel libro che stiamo analizzando: con ciò si intende, in maniera molto semplificata, il condizionamento che le donne esercitano sugli uomini (istruttivi in tal senso le pagine scritte da Gaspare Agnello, nel capitolo Le donne nelle opere di Sciascia, nel già citato «La terrazza della Noce. Ricordi di vita con Leonardo Sciascia», pp. 57-64; e l’articolo «Il carosello delle vedove in “A ciascuno il suo”», di Rossana Cavaliere, leggibile sul sito www.amicisciascia.it): a suo modo, la vedova Roscio, nell’unica scena dove prende l’iniziativa – comunque descritta dal protagonista, che se la trova ad aspettarlo sulla corriera – condiziona in maniera tragica la conclusione delle sue ricerche (come scrive Pietro Stacchio in «Ipotesi di lavoro su A ciascuno il suo e Leonardo Sciascia», p. 87, la donna usa il suo sex appeal per controllare il punto di arrivo delle ricerche da parte del professor Laurana e predisporne l’eliminazione).

Non casuale, credo, che in un simile contesto, assistiamo a un capovolgimento del topos della donna angelo: dalla donna angelica, bella ma sottratta alla dimensione dei sensi, alla donna sensuale; dalla donna che porta salvezza, alla donna che porta rovina (a spingermi a questo confronto è l’espressione “uomo dello schermo”, in «A ciascuno il suo», p. 69: la frase è riferita al fatto che una lettera di minaccia era stata inviata al farmacista, il dottor Manno, solo per sviare le indagini, dato che l’obiettivo era il dottor Roscio. Se la donna-schermo aveva lo scopo di coprire la donna oggetto delle lodi del poeta, qui l’uomo schermo diventa strumento utile a sviare le indagini).

Un’ultima considerazione riguarda due passi dei due libri, accomunati dalla scelta del luogo di incontro fra le donne e i due uomini, Maria Gloria Righi e Don Mimì lo Bue, in «La grande sete», la vedova Roscio e il professor Laurana, in «A ciascuno il suo»: due significativi incontri che hanno in comune il fatto di avvenire sulla corriera. Galeotta corriera.

La prima viene avvicinata per la prima volta dal suo spasimante, Don Mimì lo Bue, proprio sulla corriera, dove appunto si siede accanto a lei (p. 68); stessa scena si verifica l’indomani (p.69); e abbiamo qualche elemento per presumere diversi incontri sulla corriera (a p. 71, leggiamo “la quale voglia [cioè di presentarsi alla donna con tutto il suo nome, i suoi titoli e i suoi possedimenti terrieri] sfogò un altro giorno scendendo dalla corriera a Porta di Ponte”). Assistiamo a un cambio di regia, segno di una maggiore confidenza, che prelude alla nascita di un rapporto adulterino, quando la donna accetta l’invito a salire in macchina di Don Mimì (p. 71).

In «A ciascuno il suo» assistiamo ad una scena simile, ma capovolta: qui non è la donna a trovare l’uomo ad attenderla, ma il contrario, dato che il professor Laurana trova sulla corriera la vedova Roscio, la quale addirittura gli indica il posto accanto libero (p. 107); anche in questo caso, sebbene la donna stia prendendo le mosse, appare sempre attraverso la descrizione del narratore e attraverso le sensazioni del protagonista, il professor Laurana (significativo il seguente giudizio, a proposito dei discorsi della donna, “Parlava con una volubilità svagata e sciocca da far sanguinare le orecchie”, p. 108); qui la donna, vincendo la momentanea incredulità del professore, riesce ad ottenere un fatale appuntamento.

Come si vede dal confronto, assistiamo a un capovolgimento: nel primo caso un uomo aspetta la donna, nel secondo la donna aspetta l’uomo; lì è l’uomo a dover vincere la ritrosia della donna, qui la donna a dover conquistare la fiducia del professore. In ambedue i casi, i fattori comuni, che ne giustificano, a mio dire, una lettura comparata, sono il luogo, la corriera, e la significatività del momento: la relazione fra Maria Gloria Righi e Don Mimì lo Bue e la fatalità dell’incontro per il professore Laurana.

In conclusione, quali caratteristiche portano con sé queste due donne, belle, ma certamente diverse? La vedova Roscio, misterioso personaggio che vive solo attraverso gli altri personaggi, rivela infine la sua pericolosità, attentamente unita alla bellezza e alla sensualità che la caratterizzano: il binomio sensualità-pericolo, del resto, è presente in tutto il libro e sembra essere il principale problema del professore Laurana, vista l’eccessiva inibizione verso il mondo delle donne e del sesso, di cui è causa una madre eccessivamente protettiva (per cui formativa la lettura del cap. “A ciascuno il suo

e l’eros” di Pietro Stacchio, dal citato «Ipotesi di lavoro su A ciascuno il suo e Leonardo Sciascia», pp. 70-72).

Resta da definire il ruolo femminile di Maria Gloria Righi. Mettiamoci subito l’anima in pace nel riconoscerle l’assenza di un piano malvagio: è una bellissima donna, ma qui la bellezza è solo bellezza e non prelude a nessun piano delittuoso. Fugato il pericolo, non resta che cercare altrove le relazioni tematiche che la bellezza e la donna chiamano in causa: credo sia possibile individuare tre tipi di legami.

Il primo riguarda la relazione donna-sicilia, relazione caratterizzata dall’assenza delle donne, rinchiuse in casa e velate alla vita sociale, come fossero un mistero da scoprire solo il giorno (o la notte) delle nozze (significative le pp. 28-29, in «La grande sete»).

Il secondo tipo di relazione tematica si coglie nel binomio che possiamo provare a definire “donna- coralità”: nella Sicilia di Russello, elemento chiave è la teatralità degli eventi (ad esempio, guardare la bellissima Maria Gloria Righi, mentre prende un caffè al chiosco-bar, diventa un piacere corale, p. 67). Con ciò si indica l’importanza di agire sotto l’occhio della comunità dei concittadini, anche in vista della realizzazione di un successo. In questo caso, la conquista della donna da parte di Don Mimì passa anche per lo sguardo di una serie di spettatori, che siano i passeggeri della corriera o i vicini di casa, che assistono all’arrivo di Maria Gloria alla dimora del ricco latifondista (pensa Don Mimì, mentre spia la strada dalle finestre di casa sua: “meglio che tutta Agrigento sapesse che gli era corsa [Maria Gloria Righi] tra le mura domestiche, e che lui stravinceva così”, p. 147). Questo elemento della coralità si inscrive in una più profonda riflessione sulla natura del siciliano, spiegata da un personaggio della vicenda, il professore Augenti, che lega il carattere dei siciliani a elementi della cultura greca, omerica e teatrale in particolare.

Infine, resta da affrontare l’ultimo elemento. Abbiamo parlato, a proposito di «A ciascuno il suo», di un rovesciamento del ruolo della donna angelo, ravvisabile in un uso originale dell’uomo dello schermo. Ancora l’immagine della donna angelo ci torna utile in questo momento: Maria Gloria, con la sua bellezza, spinge il latifondista Don Mimì lo Bue, ricco ma ignorante, a un ritiro di studio e di solitaria formazione culturale, ben consapevole che solo con la cultura può accostare una donna così bella ed istruita.

Come la donna angelo è portatrice di salute e guida per il poeta che abbia gli strumenti per intenderla, così Maria Gloria spinge ad un salutare studio l’uomo, Don Mimì lo Bue, che vuole avere i mezzi necessari per accostarla e conquistarne, prima che il corpo, l’intelletto.

Ma anche in questo caso, la metafora della donna angelo non è seguita per filo e per segno, ma anzi presenta un corto circuito, sicché possiamo parlare di un’operazione salvifica della donna parzialmente realizzata: Don Mimì studia e s’ingentilisce nei confronti di altri personaggi che prima disprezzava, segno di un effetto benefico dello studio (pp. 93-95); ma non va oltre: resta latifondista e al potere non rinuncia, per quanto questo pesi sulle spalle dei suoi braccianti, quali Calogero Sardella, più volte accostato, per stile di vita e fatica, alle bestie che non agli uomini.

In conclusione, non nego lo stupore che ho provato nello scoprire che i due libri prendono ispirazione da uno stesso evento (terribile evento). A spingermi a una lettura comparativa e a giustificarne la scrittura di questo articolo è stata proprio questa scoperta. Da lì ho cercato di mettere insieme i vari elementi dei due libri che condividessero una qualche somiglianza. Quello della donna e della bellezza mi pare il più evidente, ma non il solo. Tuttavia, nonostante certi punti di contatto fra i due libri, restano così diversi, che mi pare più adeguato parlare di “differenze nelle uguaglianze”, che di uguaglianze in senso netto. E questo è un valore aggiunto di tutta la letteratura: gli elementi di cui si compone una storia sono finiti, come finite le sue possibili combinazioni; illimitate sono invece le risorse dell’ingegno e della creatività.

Francesco Castronovo