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Da un articolo di Agostino Spataro su “La Repubblica” del 2002, dal titolo: Mimmo Galletto, un autore da scoprire che lo scrittore Andrea Camilleri definisce ‘raffinatissimo’

è scavando nel giacimento culturale del sottosuolo letterario che mi sono imbattuto in un filone davvero intrigante che porta dritto al nome di Domenico Alvise (detto Mimmo) Galletto, poeta e commediografo dialettale di Raffadali, un autore parco e assai schivo, dotato di una sottilissima vena ironica, di un umorismo amaro, uno fra i pochi che ancora riescono a far ridere e a pensare al tempo stesso. Di lui ha scritto, in tempi non sospetti (1986), anche Andrea Camilleri il quale, nella prefazione alla raccolta di poesie “Aria di prima matina”, dopo avere evidenziato «i risultati di splendida qualità che egli raggiunge» e rilevato «l’ uso raffinatissimo» che Galletto fa del dialetto, capace di toccare «punte di altissima tensione», invita il lettore «a non fermarsi a una prima lettura (…) poiché (…) allora scoprirà che Galletto, come ogni poeta autentico, è assai più candido di quanto voglia apparire e assai più complesso di quanto voglia mostrare. E viceversa, naturalmente».

Mimmo Galletto

La produzione poetica, così come quella teatrale, di Mimmo Galletto s’ irradia per tutto il vasto campo delle tribolazioni dei siciliani, cogliendone ansie e bisogni, sdegni e rifiuti, e soprattutto quel senso d’ irriducibile fierezza, talvolta scambiato per fatua alterigia, che altro non è che un estremo tentativo di difesa di un’ identità su cui incombe una nuova sconfitta. Sensazioni quasi palpabili soprattutto nelle due più recenti (1999) raccolte di poesie e di sonetti “Lustrura d’ acqua” e in “Li rradici di l’ arma”, quest’ ultima vincitrice, nel 2000, della XXVI edizione del prestigioso Premio internazionale di poesia Città di Marineo.

Tuttavia, l’ opera che più esalta la vena ironica di Galletto è certamente “Un tirribuli viaggiu” ovvero la discesa all’ Inferno; una sorta di parodia del poema dantesco dove si accalcano, all’ interno di un microcosmo che tanto assomiglia al contesto sociopolitico e morale di Raffadali, i dannati della moderna condizione umana, schiavi del potere e della ricchezza illecita, personaggi della politica e del malaffare, verso i quali si tende pietosa la mano del concittadino poeta. Infine il teatro di Galletto: sei commedie in dialetto, recentemente raccolte in un volume fuori commercio, di elegante fattura artigianale, destinato ai «pochi veri amici». Opere di pregio che tuttavia non riescono a varcare la soglia di una ristretta area di comunicazione, probabilmente perché scritte e recitate in dialetto.

Eppure, in questa epoca, segnata dall’ omologazione culturale planetaria che preannuncia la decadenza delle lingue nazionali in favore della nuova lingua imperiale, i dialetti e gli scrittori dialettali dovrebbero essere riconsiderati, rivalutati poiché – come scrive Luigi Pirandello – «una parola in lingua rappresenta il concetto della cosa mentre la stessa identica parola in dialetto ne rappresenta il sentimento». Queste ed altre autorevoli considerazioni, che valgono per Galletto e per tanti altri poeti e narratori dialettali, dovrebbero far riflettere un po’ tutti e, in primo luogo, assessori e “operatori culturali” siciliani affinché orientino la spesa pubblica verso la riscoperta delle tradizioni culturali della Sicilia che costituiscono una grande risorsa, anche ai fini turistici.


AGOSTINO SPATARO, 31 marzo 2002 Da Archivio Repubblica