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Ventennale Della Morte Di Sciascia.
Sciascia Intenditore Di “Stampe” E Buongustaio Di Dolci

come si evince da uno scritto pubblicato dal colto e raffinato avvocato civilista Giuseppe D’Amico, in data 3 dicembre 1989 e cioè a pochi giorni dalla morte dello scrittore, sul settimanale di Ribera “Momenti” “ di vita locale”, diretto da Franco Messina.

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L’articolo scritto in ricordo di Sciascia, in occasione della sua morte, è stato intitolato
I DOLCI DI SCIASCIA

Ciccio Messina mi ha chiesto, per il suo giornale, un ricordo di Leonardo Sciascia, forse in nome di un’antica colleganza giornalistica, di quando io e lui raccontavamo sui due quotidiani di Palermo le cronache riberesi.

Mi è tornato gradito l’invito perché con il professore Sciascia, come lo chiamavo anch’io, assieme agli amici palermitani, ho avuto una frequentazione più che ventennale.

E’ stato scritto tutto quello che si poteva sullo scrittore, il politico, l’uomo. A me viene, sul filo della memoria, di parlare di Sciascia per come l’ho conosciuto e praticato, di Sciascia amatore di stampe originali, di libri, dei dolci; sempre pronto a donare stampe, libri, dolci a quelli che condividevano con lui qualcuno di questi suoi amori.

Ho conosciuto personalmente lo scrittore negli anni ’60, nella Galleria Arte al Borgo, allora in via Turati a Palermo, animata a quel tempo da Maurilio Catalano e Raffaello Piraino- galleristi ma anche pittori.

Nel tardo pomeriggio e la sera era possibile incontrarvi Leonardo Sciascia e Ignazio Buttitta, frequentatori quotidiani, ma anche Tono Zancanaro, Renato Guttuso, Mino Maccari, Bruno Caruso e tanti altri. Da quegli anni la mia frequentazione con il professore Sciascia non si è mai spezzata, perché era legata alla comune passione per la grafica originale, che egli coltivava con grande piacere ed intuito, ma anche con molto disinteresse per il valore economico o di mercato. Non era perciò un collezionista di stampe originali, nel senso che non catalogava, né ordinava. Né gli importava di firme, tirature, biffature, stati e neanche di esporre in cornice. Una stampa incorniciata -diceva- un vero amatore finisce con il non vederla più. Egli amava toccare i fogli, la carta, il segno, la battuta e comprava quel che gli piaceva ovunque a Parigi o a Reggio Emilia da Prandi, a Palermo in galleria, in libreria o al mercato delle pulci..

Si definiva AMATORE DI STAMPE e il suo amore arrivava al punto che le regalava a quanti le amavano come lui, come faceva pure con i libri e con i dolci.

Quando, da Consigliere provinciale negli anni ’70, mi occupavo del Manicomio di Agrigento e delle gravi condizioni dei ricoverati, mi regalò una stampa di Bruno Caruso con un soggetto appropriato e un libro, Storia della follia di Foucault, che conservo gelosamente.

Ma era la grafica, tutta, xilografie, litografie, acqueforti soprattutto, che appassionavano Sciascia ma non come sottospecie o surrogato della pittura e del disegno, ma come qualcosa che faccia specie con l’amore al libro più che alla pittura ed al disegno; forse perché quelle immagini sono stampate o sono nei libri.

Un bibliofilo più facilmente ama le stampe di un collezionista di quadri -diceva- e così le stampe le conservava in cartella, poi le sfogliava e le leggeva come fossero libri, in certi momenti ed in certe disposizioni di animo, spiegava.

Come Sciascia ha letto l’acquaforte di Durer, Il Cavaliere e la morte, ognuno può leggerlo nell’omonimo suo romanzo.

Sciascia, che non amava la pittura, inorridiva dinanzi a quella informale o astratta. Una volta, nel visitare assieme una mostra collettiva, io mi soffermai su un quadro di Lucio Fontana, il pittore dello spazialismo, una di quelle opere in unica tonalità di colore, movimentata solo da squarci e tagli: aveva un prezzo altissimo che non mi potevo permettere. Sciascia, sarcastico, mi suggerì: “Avvocà, pirchì non si lu fa lei stesso un Fontana!”

La predilezione dello scrittore andava ancor più ai libri con stampe originali e si rammaricava che “molti di questi libri sono stati disfatti: le stampe estratte, isolate, incorniciate”. Ma comprendeva il fenomeno e non lo rimproverava perché pensava che la richiesta di stampe da mettere a muro che ha fagocitato anche i libri, fa parte della storia della società nelle sue nuove spinte, nella sua evoluzione.

Era soddisfatto quando scopriva qualcuno che ancora pubblicava libri con stampe originali, fosse Bucciarelli di Ancona, Sellerio di Palermo, o Nuccio Galluzzo di Sciacca. Lo segnalava agli amici perché per lui era un segno consolatorio che riporta l’amore alle stampe all’amore al libro, che per lui era il più grande.

Ma a Leonardo Sciascia piacevano molto i dolci e quelli della tradizione siciliana gli erano più graditi. Conosceva i posti, le pasticcerie di Palermo e della Sicilia dove si elaboravano i cannoli più squisiti, le paste migliori e vi portava gli amici a gustare e condividere ciò che gli era delizioso.

Era anche un ricercatore di dolci rari ed era molto contento quando ne scopriva qualcuno. Ricordo che un inverno, forse quello del 1987, con Camilla, mia moglie, lo andammo a trovare alla Noce di Racalmuto dove stava per ultimare, credo, il romanzo 1912+1. Era là con la signora Maria da un po’ di tempo ed il pomeriggio riceveva gli amici che andavano a fargli visita. Portammo una guantiera di cuscus, un delizioso dolce di origine araba a base di pistacchio, che confezionavano soltanto le monache di clausura del Monastero di S. Spirito di Agrigento. Gli si leggeva la contentezza in viso ma non saprei dire perché poteva gustare per la prima volta o perché poteva rigustare il dolce di cui letterariamente sapeva.

Ma ricordo che, alla vigilia di Natale, prima del suo rientro a Palermo mi chiese di comprargliene venti chili in altrettante guantiere per farne regalo e condividere con gli amici, le figliole, i nipoti il piacere di assaporare un dolce arabo confezionato da mani religiose.

Sciascia era fatto così e così mi piace ricordarlo.

Per gentile concessione dell’autore AVV. GIUSEPPE D’AMICO