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E’ arrivato in libreria, fresco di stampa, per i tipi della casa editrice di Treviso “Santi Quaranta” una altro libro dello scrittore di Favara Antonio Russello “La danza delle acque.  A Venezia”.

Il libro era stato scritto da Antonio Russello tra il 1963/64 ed era stato pubblicato nel 1985 dalla casa editrice La Galleria con il titolo “VENEZIA ZERO”

La danza delle acque è la storia di un laureato in lettere che è costretto dalle vicissitudini della vita ad accettare un posto in banca scegliendo come sede Venezia. E perché Venezia, gli chiede il suo Kapo: “ho scelto Venezia per la memoria del futuro, perché Venezia è musica, per l’arte vetraria muranense”.

Ma il Direttore vuole subito annullare il letterato e gli consiglia di lasciar l’arte e di mettersi d’impegno a lavorare sui numeri tenendo presente che esiste il decalogo dell’impiegato modello che richiede  sistemi di vita durissimi che impongono di non avere una vita privata per dedicare tutte le energie fisiche e mentali al lavoro.

E qui Russello ci descrive con tanto sarcasmo ed ironia la vita grama dell’impiegato d’ordine, le leggi del Kapo riportandoci allo scrittore Pietro Jahier che nel 1915 pubblicò “Resultanze in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi”.

Al posto di Gino Bianchi abbiamo il Direttor Marino, il capo ufficio Cèsari, gli impiegati Scafati, Merlo, Pierini, Vittorio che divide la stanza con il nostro personaggio.

Assistiamo agli scherzi anche pesanti tra colleghi, all’emulazione per ben figurare davanti al Direttore, al trascinarsi avanti per quarant’anni per arrivare, anche con l’esaurimento, al massimo della pensione; ma assistiamo anche a tratti di umanità, a persone che si dividono  la sigaretta, si scambiano la cravatta e che in fondo mostrano tra loro solidarietà ed affetto per superare il dramma comune del lavoro come punizione. “Tu uomo lavorerai con gran fatica”.

Viene fuori dal libro l’impiegato comunista che interpreta il marxismo come filosofia contro il Kapo, il liberale ed il moderato nella cui figura noi intravvediamo il nostro scrittore che certamente avrà osservato la vita politica italiana con molto distacco ponendosi in una posizione moderata  lontana dai dogmatismi e dagli integralismi.

Il libro assume toni da farsa, ma anche toni da tragedia greca con i suoi cori eschilei di ebrei, di negri, di indiani, tutti popoli che hanno sofferto le persecuzioni, gli stermini, l’olocausto.

Sotto la veste del bancario c’è sempre l’uomo che difficilmente può morire e l’uomo viene fuori con le sue debolezze ma anche con le sue grandezze ed il Professore rimane un uomo di lettere, il Pittore trova sempre il tempo di dipingere anche nelle ore di servizio  sui moduli bancari.

E quindi questi uomini non possono fare a meno di rievocare fatti importanti e drammatici della storia a loro vicina e che certamente se non li ha coinvolti li ha tragicamente sfiorati.

Ritorna sempre e continuo il riferimento alla Resistenza ed ai giovani fucilati a Venezia, ritorna il dramma dell’olocausto degli ebrei e dei luoghi simbolo di questo dramma dell’umanità che ha fatto dubitare anche gli uomini religiosi dell’esistenza di Dio che ha potuto consentire simili brutture dell’umanità.

Ma il libro di Antonio Russello non è solo il racconto  tragicomico di alcuni bancari è soprattutto un sinfonia, una serie di affreschi su Venezia e probabilmente la storia di Marino, di Merlo, di Pierini, di Vittorio ha voluto essere la causa occasionale per innalzare un monumento alla sua  nuova patria dove appunto si era trasferito per respirare l’aria dei campielli, delle calli, dei palazzi nobiliari, delle bifore e delle trifore, degli archi a sesto acuto diversi dagli archi rotondi delle chiese arabo normanne della Sicilia.

Russello ci ha portato nella Chiesa dei Frari per farci ammirare l’Assunzione delle Vergine del Tiziano con i suoi colori rossi e struggenti e la sua carica teologica, ci ha fatto vedere il Tintoretto, i Dogi schierati al Palazzo ducale in maniera ordinata e secondo una logica cronologica a differenza di come li aveva nella mente di bambino il nostro autore che nella sua Sicilia   raccoglieva le loro figure. Ci ha descritto la piazza San Marco, la Chiesa di San Marco, il teatro La Fenice da cui si dipartono le note di Vivaldi e dei concerti K di Mozart che danno a Venezia il senso della dolcezza delle stagioni, della musicalità del suo paesaggio, del suo mare delle sue isole che, come perle, si incastonano attorno a questa capitale dell’arte e della bellezza.

La Venezia di Russello, come il suo libro, si gusta, si sente nella sua musicalità, si ammira nei suoi colori come la sentono, la ammirano, la gustano i suoi turisti che vengono da tutto il mondo, forse lasciando a casa tutti i loro problemi o portandoseli dietro nella speranza di buttarli nella laguna che non sempre rispetta l’ordine, i colori, la musica e che quando si arrabbia scatena il giudizio universale ed invade le calli, i campielli, la Piazza San Marco, il Palazzo Ducale e tutti i Palazzi nobiliari. La Laguna scatena il giudizio universale e fa vedere Venezia alla rovescia, i tetti diventano strade, i campanili affondano, le damine di vetro di murano galleggiano, come i pesciolini di vetro che si incontrano con pesci reali in una realtà pirandelliana in cui non  si è in grado di distinguere il reale dall’irreale.

I Dogi si staccano ad uno ad uno dalle pareti e galleggiano nella laguna mentre le musiche di Albinoni, di Vivaldi, di Mozart si intrecciano all’urlo della marea che distrugge l’ordine umano.

Il nostro professore mentre nuota in mezzo all’acqua sente di entrare in modo lieve e dolce nell’aldilà e si è accorto che passare dal prima al dopo è stato facilissimo, come entrare in acqua trasparente senza spavento. La morte come trapasso dolce accompagnata dal quintetto K 593.

Le stelle  della notte si abbassano fino in fondo. Si toccano fino al punto che non si può distinguere il bagliore di un vetro da quello di una stella.

Ma è l’amore che li confonde, quello che muove il sole e le altre stelle.

Il libro di Russello svolge  lo stesso tema in tre letture diverse ed è come  un cineoperatore che gira la stessa scena da tre angolazioni diverse. La scena, nella realtà è sempre la stessa, ma le sensazioni che suscitano le tre riprese sono diverse. Di queste tre scene quale è la scena vera: la prima, la seconda, la terza o tutte e tre. Così è se vi pare. Ogni pupo lo si può vedere da tante angolazioni e sarà sempre vero.

Pirandello, conterraneo di Russello, non poteva non toccare la sua formazione culturale e in ciò noi scorgiamo l’humus della cultura del novecento siciliano che ha reso grande la letteratura italiana  con letterati, pittori, musicisti che hanno lasciato il segno di una grande terra ricca di civiltà e di cultura.

Ma le tre versioni di Venezia Zero ci riportano a Raymond Quineau e al suo libro “Esercizi di stile” pubblicato da Gallimard nel 1947 e tradotto in italiano nel 1983 da Umberto Eco che lo ha ripubblicato con Einaudi.

Queneau esprime uno stesso fatto in 99 modi facendo in ciò esercizio di lingua e di sensazioni diverse che un fatto può suscitare. Ci piacerebbe sapere se Russello fosse venuto a conoscenza di questa opera o se la coincidenza è puramente casuale.

Il libro è scritto da uno scrittore che ha mestiere che si diverte ad eliminare la punteggiatura.

“La nostra lingua ci appartiene e al tempo stesso non ci appartiene più: la rifacciamo continuamente nell’usarla.”

Con questa nuova pubblicazione che arriva dopo “La luna si mangia i morti”, dopo “L’isola innocente” e “Storia di Matteo” , continua la pervicacia opera di riscoperta della scrittore siculo-veneto da parte di Ferruccio Mazzariol, titolare della Santi Quaranta, che dimostra coraggio e amore per la grande letteratura

Gaspare Agnello

gaspareagnello@virgilio.it