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Video del mio intervento alla presentazione del libro a Favara:

Tre intellettuali, Alberto Bellavia, Adriana Iacono e Lia lo Bue frequentano un corso di scrittura e si cimentano in un’impresa letteraria scrivendo un libro “La bellezza dell’acqua” edizioni Lemma, sul delitto Tandoj, avvenuto la sera del 30 marzo 1960 al Viale della Vittoria di Agrigento. Il delitto è un pretesto per scavare nei sentimenti umani, nelle vicende agrigentine, nella vita sociale di una città sonnolenta che però risente del cambio dei costumi post bellico e del boom economico che si ripercuote nello sviluppo edilizio e nel sacco delle città italiane che si sviluppano in maniera caotica e disordinata aggravando i problemi antichi di ogni comunità. I tre frequentatori del corso danno vita a un libro veramente delicato che è tra storia e romanzo, fino a toccare i cuori dei lettori. Mi capita raramente che mi spuntino le lacrime leggendo una storia ma questa volta Lia me li ha strappate, avendo così la conferma che questa donna è figlia d’arte provenendo dalla Regalpetra di Leonardo Sciascia.

La bellezza dell'acqua (1)

Voglio subito dire che c’è una parte del racconto di Alberto Bellavia che non condivido nel merito, ma questo non inficia la validità dell’opera né la bellezza della sua narrazione e della sua prosa.

Detto questo, che mi premeva dire per la mia onesta di recensore, devo osservare un parallelismo sorprendente tra questo libro e quello di Antonio Russello che tratta più approfonditamente il caso Tandoj avendo visto, in tempi vicinissimi al delitto, la vera causa del misfatto e producendo un’opera di rara bellezza.

Il filo conduttore comune a tutti e due i libri è L’ACQUA per il primo e LA SETE per il secondo: sete di acqua, sete di giustizia, sete di cultura, sete di donne soprattutto.
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Sete di giustizia e giustizia sicuramente non è stata fatta nei confronti di Tandoj e del giovane Ninni Damanti ucciso per errore essendosi trovato nel posto sbagliato, nel momento sbagliato.

Ninni muore mentre la sua vita sbocciava:

C’è un giardiniere folle e beffardo

Che si diverte

Dalla sua irraggiungibile serra celeste

A potare giovani rami di vita senza logica alcuna

Basandosi sull’umore o sulla scelta casuale del momento.

Mi sono sempre chiesta

Quali pensieri,

quali visioni, quali inspiegabili presentimenti

riempiono o attraversano la mente della marionetta prescelta

quando il burattinaio indifferente e imprevedibile

decide di recidere i fili invisibili dell’esistenza.

Sono forse lampi di verità,

squarci di ignoto buio

o girandole di vita

prima del tutto o del nulla?

Non ci è concesso sapere la risposta

se non cessando di esistere.

La vita di Ninni è stata recisa e anche quella del Commissario che è morto due volte perché lo hanno accusato di essere coinvolto nel mondo mafioso e questo forse per nascondere i veri mandanti e le vere cause di quel delitto che affondano le  radici nella speculazione edilizia, nel mondo della mafia collusa pienamente con la politica e in tanti affari sporchi che forse il Commissario conosceva e che non poteva portare a Roma dove magari si sarebbe confidato con il suo compagno di scuola Aldo Moro.

La bellezza dell'acqua (3)

“Ci vorrebbe qualcosa di sconvolgente, dice Lia,, “ sì, ci vorrebbe un’inondazione di verità, ci vorrebbe un’onda gigante di acqua pura per lavare la polvere della menzogna e ridare vita alla terra. Sì, gli agrigentini devono riscoprire proprio questo, l’acqua per rinascere e risvegliarsi, o per crollare e ricostruire se stessi e la città. D’altronde si sa, l’acqua penetra la roccia e l’attraversa. Niente può fermare l’acqua. Non la puoi stringere, non la puoi imprigionare, non ha forma. E’ forte, l’acqua, ma non ha colpe. Se uccide e abbatte è solo per colpa degli uomini che continuano a ignorare la sua bellezza. Sì, proprio così: gli uomini ciechi e sordi ignorano la bellezza dell’acqua e muoiono”.

Per nostra fortuna c’ è la sirena Oxum che si incarica di trasportare l’acqua dalla terra al cielo per riempire le nuvole e ridarla in forma di pioggia alla terra. Un giorno però mentre trasportava l’acqua in cielo le è caduta una goccia e si è formato Oxumarè l’arcobaleno.

Oxum, scrive Adriana:

Veglia la notte in un lago di pace.

Ruba alle stelle scintille di brace.

 

Vive nel delta che accoglie il fiume.

Uccello di vetro senza piume.

 

Contro il cristallo ombre dorate.

Pioggia battente di gocce ambrate.

 

Nasce dal tuono e in silenzio rapisce.

Sirena che trasforma e rapisce.

E dopo, dice Lia, appare l’arcobaleno, Oxumaré:

La pioggia batte il mare,

poi lenta si ritira all’orizzonte scuro;

è apparso Oxumaré:

In un’antica danza a forma d’infinito

Risplende generoso il dolce arcobaleno.

Serpente che non morde

Se non la propria coda,

regala a chi l’osserva ricchezza e abbondanza.

Corona luminosa

La luna tu circondi,

ti muovi con la grazia di chi ama l’amore.

Gli uomini sono cattivi e non apprezzano gli sforzi degli Dei che  si sacrificano per il nostro bene e la nostra felicità. Violentiamo la natura, ci facciamo guerre l’un contro l’altro, adottiamo la legge dell’Homo omini lupus e Oxum non porta più l’acqua in cielo per cui, dice Alberto, “Nella vecchia casa di mia madre manca l’acqua. Cinquant’anni e ancora l’acqua non arriva”.

E Adriana:

“Cetti è anche questo: il saccheggio e la sete. L’arroganza del cemento e l’acqua, o meglio la sua assenza; l’infinita attesa per l’acqua che non arriva mai. ‘Ma quannu veni l’acqua?’ La conta dei giorni. ‘A simana chi trasi, avussi a viniri’. L’acqua potabile nelle bottiglie. Va’ l’inchi l’acqua’.  La fila a la fontana di bonamuruni. ‘A chi tocca?’…”

“….Vero è che nei palazzi nuovi ci sarà l’acqua ogni giorno?.

Annù, figurati se si preoccupano dell’acqua!.

Sì, l’ho sentito pure io. Ci mettono cisterne enormi e l’autoclave.

E vabbe ci mettono le cisterne e l’autoclave ma allora giusto è che chi ha soldi per stare nei palazzi nuovi ha l’acqua, e chi non ha soldi resta senza? La comodità deve essere per tutti, non solo per chi se le può comprare. E poi l’acqua non è una comodità, è una cosa fondamentale.

Che vuoi dire?.

Significa che è una cosa indispensabile che deve essere garantita a tutti sempre, come l’aria.

Questo stesso problema se lo pone Calogero Sardella il favarese de “La grande sete” di Antonio Russello.

Sardella è un contadino che vive a 18 chilometri dal mare, vede una grande distesa d’acqua e lui deve soffrire la sete.

“Io Calogero Sardella( a Palermo, a Londra, gli uomini si chiamano Calogero? Si chiamano Sardella?) sono qui, buttato nelle fiamme dell’inferno, senza che nessuno si preoccupa se crepo di sete; se con una brocca d’acqua che porto dal paese, sul mulo, dopo fatto 20 chilometri, ci debbo fare sei razioni per me, mia moglie, mio figlio, il mulo, i conigli, le colombe. Pensava: ‘ Io, Calogero Sardella, piantato qui come un pistacchio…

…E lui(il barone) invece là, in casa sua, bella, larga, comoda, in poltrona, il boccale d’acqua a lato, la radio vicina, il ventilatore”.

“Insomma, dice Calogero Sardella, lavoriamo o no per voi? E voi, così ci trattate? L’acqua che ci avete promesso coi vostri comizi, e che da monte Cammarata, bella limpida fresca, doveva venire a scorrerci sopra, promessa ce l’avete, ma dato mai”.

Con qualche brocca d’acqua Calogero Sardella deve vivere una settimana in campagna e quando il mulo tenta di rubargliela nasce una furibonda lotta tra l’uomo e la bestia che sa di epico e che ognuno dovrebbe leggere per capire il dramma dell’esistenza umana e la lotta per la sopravvivenza che è così drammatica da portare il povero Sardella a vendersi e ad armarsi per uccidere il Commissario Righi che lui neanche conosceva.

Pure la terra,  da noi ha sete. Ecco cosa scrive Russello:

“ C’era un paesaggio stupefatto  dal sole che vi accendeva mille barbagli. Il paesaggio confinava col mare che vi batteva e vi s’attaccava con una striscia smeraldina; più in là la striscia era azzurra e poi viola, e di nuovo smeraldina, azzurra, viola. La terra invece, da Mosè a San Leone, riposava in un costone di vigneti cupi e poi s’alternava di distese e di colline gialle, che fumavano, ed erano i calcheroni delle miniere della Ciavolotta, della Principessa, di Lucia. La terra che aveva SETE più di rigagnoli d’acqua, pareva che per dispetto avesse fuoco dentro, rigagnoli di fumo invece, che uscivano e salivano in alto”.

Il commissario Righi non trova un poco d’acqua neanche per pulirsi il vestito che si era macchiato di vino.

“Acqua non ce n’è? aveva chiesto Righi per pulirsi. Gli avevano risposto che, per averla, aspettavano le donne di ritorno dal pozzo lontano un chilometro, se pure non trovavano asciutto il pozzo.

Commissario, vede? Quand’è che devono dare l’acqua? Lei non può intervenire?

A questo punto gli era venuta un’idea meravigliosa, mentre era a tavola. Che lui potesse fare il miracolo e cambiare il vino in acqua. Ma qui i miracoli si sarebbero dovuti fare tutti alla rovescia.

Dio però, secondo Antonio Russello, sarebbe disposto a concedere agli uomini di Sicilia tutta l’acqua necessaria a dissetarli da tutte le loro esigenze di sete. Forse sono gli uomini che preferiscono vivere in questo stato.

Ecco cosa scrive Russello sul commissario Righi:

“Certe volte era silenziosamente andato dietro il filo della predica domenicale in chiesa che sceglieva, tra le pagine evangeliche, il ‘Discorso della Montagna’; e Gesù andava sulla creste delle colline della Galilea, raccogliendosi ai piedi tutto il popolo.

A Righi, quest’immagine gli s’era venuta a dissolvere, a filo di discorso e a filo di sogno, su per le alture dell’acropoli agrigentina: Gesù sopra, e sotto i contadini e gli zolfatari. ‘La legge’ gli veniva di sentire. ‘ Voi avete già una vostra legge. Ma d’ora in poi vi dico che dovete accettare un’altra legge più giusta’.

Il bello veniva quando avrebbe dovuto convincerli sull’opportunità di denunziare quelli che s’erano macchiati di delitti e farli rientrare nella legalità. Vediamo con che cosa. Col denunciare i nomi. ‘ I nomi, da bravi, su!. ‘Macchè!’. ‘Commissario’ gli pareva  che controreplicassero. ‘Noi non facciamo la spia, non ci sporchiamo’. E lui, col mantello rosso di Gesù, sfilandosi gli occhiali grandi, paziente, sarebbe sceso per i mandorli nella vallata e avrebbe da quelle zolle asciutte, con mano taumaturgica, divelto rivoli d’acqua dalle rocce, dai sassi asciutti e liberato un fiume d’acqua fresca: ‘Dissetatevi, avete una gran sete’.

Tutti si chinavano con le mani a bere. Li avrebbe sfiorati col piede nudo nel sandalo, dicendogli: ‘Ma attenti, a quale acqua vi dissetate. Se non avete sete di quest’acqua…’

Poi avrebbe aggiunto nuovamente, di colpo. ‘Quinto: non ammazzare”’.

Gli uomini non hanno mai voluto accettare la legge più giusta e continuano ad ammazzarsi e la sete continua all’infinito.

E il commissario Righi, freddato dai colpi sparati da Calogero Sardella morirà implorando ‘Ho sete. Acqua’.

Il Barone Don Mimì, che si trova nei pressi, per vedere la sua Maria Gloria in partenza da Agrigento, bussa in un bar chiuso e chiede acqua per un ferito. ‘Acqua?”’ gli dissero. ‘Con questo scirocco? Non c’è una goccia d’acqua ad Agrigento’….’Un limone gli dissero’

Il Commissario si spegne lentamente e bisbiglia “Acqua. Ho sete”. E alla moglie che lo ha abbracciato per soccorrerlo sussurra ancora: “La Sicilia, vedi? Che doveva finire con oggi. Invece ma la sono portata tutta nel sangue, all’infinito”.

E la grande sete continua ad affliggere l’umanità che si rifiuta di accettare la legge giusta.

Agrigento lì 13.11.2016

Gaspare Agnello